(di Gianni Schicchi) Ultimo concerto sinfonico stagionale della Fondazione Arena al Filarmonico, con molte (liete) sorprese per il pubblico. Prima di tutto con quella di poter ascoltare un prestante solista come il celebre violinista tedesco (nato in Italia) Augustin Hadelich alle prese con il difficilissimo ed incantevole Concerto in re maggiore op. 35 di Ciajkowski. In seconda battuta per incrociare la direzione del gioviale messicano Carlos Miguel Prieto nel suo intento di proporre alcune pagine di musica latino americana, solitamente snobbate nei repertori di molte orchestre, anche di fama internazionale.
Nel Concerto di Ciajkowski il virtuosismo è posto in primo piano, specie nei due movimenti veloci, tale da renderlo, tecnicamente, uno dei più impegnativi di tutta la letteratura concertistica dell’Ottocento. Di rilievo L’Allegro moderato iniziale che alterna momenti di enfatica magniloquenza a distensioni di cantabilità languida e commossa; e l’Allegro vivacissimo finale, di un incalzante dinamismo ritmico con andamenti anche popolareschi. Come era facile prevedere Hadelich – ha un sorprendente seguito di giovani estimatori corsi a riempire il Filarmonico – offre nel brano un saggio superlativo di abilità, ma riesce pure a cantare con sensualità ricordandoci che questo pezzo, pieno anche di effetti tecnici, è pur sempre riferito ad un momento di grandi tumulti romantici di cui anche Ciajkowski fu sommerso.
L’empito ciajkowskjano, con i suoi slanci appassionati è ravvisabile fin dall’inizio per attraversare poi tutta la partitura interamente giocata sulla cantabilità dello strumento solista, anche laddove vengono esaltate le potenzialità sinfoniche della scrittura musicale.
Hadelich pennelleggia tutti gli umori del suo violino, ora perorante e appassionato, ora trasognato e metafisico, grazie ad una non comune padronanza tecnica ed una perfetta intonazione. Dal canto suo provvede poi a conferire continuità al delizioso itinerario confermando la sua statura tecnica di autentico virtuoso, ma soprattutto offrendo un’esecuzione piuttosto diversa dal consueto, tutta illuminata da una squisita intelligenza musicale.
Della celebre partitura mostra infatti di avere un’idea molto chiara, con un suono sempre presente, di un impeto quasi fisico, ma che non trascende mai in esagerazioni. La passione è temperata da un gusto evidentemente naturale, ma anche diligentemente meditato, per un fraseggio ricco di rapinosi scatti, come capace di assottigliamenti improvvisi, quasi impalpabili e di una libertà agogica assecondata molto bene dal maestro Prieto che rinuncia ai toni epici, spesso associati a questo brano per scavare, invece, nei timbri e nei colori, facendo dialogare l’orchestra (nel terzo movimento) ed il solista con rara flessibilità. Hardlich convince poi per la sfacciata brillantezza del Finale, ma senza che il virtuosismo tecnico diventi qualcosa di autoreferenziale.
La brillante prova del violinista riceve ancora maggiore lustro grazie alla felice collaborazione del direttore e alla maiuscola prova dell’orchestra areniana che lo asseconda alla perfezione in un dialogo sempre teso e coinvolgente. Il pubblico al termine (scatta tutto in piedi) gli decreta un autentico boato di applausi, con una giovane che dalla platea corre a porgergli persino un mazzo di fiori e con lui pronto a concedere il bis di rito: (de Sarasate).
L’ottimista e sorridente direttore Carlos Miguel Prieto, che in apertura si è proposto in una brillante selezione della Suite Espanola n° 1 op.47 di Isaac Albeniz, si è poi esibito nella seconda parte del concerto in un saggio di musica latino americana, spesso emarginata, come dicevamo sopra, nei larghi giri internazionali delle grandi orchestre e non se ne spiega la ragione trattandosi di veri capolavori.
A cominciare dal balletto Estancia di Alberto Ginastera, senza dubbio il massimo compositore argentino, per andare al Danzon n° 2 e all’Huapango dei messicani Arturo Marquez e Josè Pablo Moncayo, che Prieto mostra di conoscere a menadito dirigendoli senza consultare la partitura. Due pezzi impetuosi, suggestivi, pieni di brio e di plasticità, dove il materiale brillante è di tali dimensioni da mettere in evidenza la profonda conoscenza che ha caratterizzato l’orchestrazione dei compositori.
Prieto si è ricavato al termine anche un successo personale dialogando e scherzando gustosamente col pubblico (lo ha ripagato con vivacissimi applausi) distinguendosi per una direzione chiara nella resa degli intrecci e nell’adeguata varietà delle dinamiche, oltre ad una notevole sensibilità, tale da rendere appieno le peculiarità melodiche dei singoli brani. Ể finita con un quadretto gentile e simpatico, quando i fiori del teatro destinati a due parenti (donne) del direttore sono finiti invece, per desiderio dello stesso, ad alcuni membri dell’orchestra in procinto di lasciare per il raggiunto pensionamento.