A chi è convenuto l’accordo tra lo Stato e i Benetton

(di Giorgio Massignan – VeronaPolis)Dopo l’accordo stipulato dal governo con la famiglia Benetton, ci si chiede se è stato positivo per la nazione oppure  un affare per gli imprenditori privati. Per rispondere, è necessario tornare al maggio  2007, governo Prodi 2, quando fu formalizzato,  tramite un emendamento a un decreto legge,  un accordo tra il governo e la famiglia Benetton,  contrastato da Anas, Cipe, Nars e Ragioneria dello Stato, per i troppi vantaggi a favore di Aspi. Quindi, si dovette approvare per legge, ciò che gli organi tecnici non intendevano ratificare.

La concessione, era legata alla volontà politica dei governi e i  Benetton, per cautelarsi dall’eventuale cambio della linea politica, hanno preteso e ottenuto delle clausole di indennizzo che, stranamente, sia il governo di centro sinistra, che quello di centro destra hanno concesso e mantenuto. La Corte dei Conti commentò: “Le convenzioni rinnovate nel 2007 hanno stabilito rilevanti oneri economici a carico dello Stato e dei contribuenti … è previsto un indennizzo in favore della concessionaria decaduta in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione, anche per inadempimento del concedente, e/o comunque cessazione anticipata del rapporto di convenzione pur indotto da atti e/o fatti estranei alla volontà del concedente, anche di natura straordinaria e imprevedibile… comportando un assetto contrattuale asimmetrico, che pone la parte pubblica in una posizione di debolezza, per altro verso, solleva il tema della validità di queste clausole contrattuali alla luce della disciplina legale e, in primo luogo, di quella civilistica”.

Nel gennaio 2008, cadde il governo Prodi e, dopo nuove elezioni, salì al potere Silvio Berlusconi, che mantenne la convenzione. Da tutto questo, si evince che, quasi tutti partiti, hanno tutelato gli interessi della famiglia Benetton. Ma, oltre alle forze politiche, anche le grandi testate giornalistiche nazionali hanno sempre sostenuto i Benetton contro lo Stato. Proprio giorni fa, Corriere, Repubblica, Stampa e Verità sparavano la lettera “riservata personale” della De Micheli a Conte del 13 marzo, fatta uscire per salvare in extremis i Benetton. Faccio notare che nel board Atlantia, sedevano Cassese, giurista del Corriere&C, e la Mondardini, amministratore di Repubblica.

Questa estrema difesa, fa pensare che l’obiettività non sia, propriamente, un valore perseguito dai nostri giornaloni, troppo influenzati dalle proprietà.  Detto questo, da quanto ho letto, ho potuto capire che: ci sarà un aumento del capitale sociale del 50%, pari a 3,5 miliardi, che è la cifra che i Benetton devono pagare come risarcimento per i danni causati dal crollo del ponte. I Benetton, dovranno vendere le loro azioni sul mercato, per ottenere un azionariato diffuso, mentre lo Stato avrà il 33% delle quote e quindi potrà gestire in autonomia la società. I Benetton, dovranno scendere sotto il 10% entro un anno, quindi senza avere il diritto  di partecipare al Consiglio di Amministrazione.

Gli obiettivi della nuova società sono: investimenti sulla sicurezza, sulla manutenzione, riduzione tariffaria e mantenimento dei posti di lavori.  Da sottolineare che, lo Stato acquista le azioni tramite la CdP (Cassa Depositi e Prestiti), utilizzando i depositi del risparmio dei pensionati. I soldi della Cdp, tecnicamente, non sono soldi pubblici. Nelle casse della controllata del Tesoro ci sono i risparmi postali degli italiani, e tutti gli investimenti della Cdp, prevedono un ritorno remunerativo.

Da rilevare, che non è ancora stato stabilito il prezzo delle azioni della nuova società Autostrade a controllo pubblico, perché prima è necessaria la revisione formale della concessione, che decida le tariffe, per calcolare la remunerazione degli investimenti. A quella cifra, si deve aggiungere il debito della vecchia società, che finirà nei bilanci di quella nuova. Comunque, l’aumento di capitale che porterà alla formazione della nuova società, è vincolato a non distribuire dividendi per almeno due anni ed a  dirottare le nuove risorse verso gli investimenti. Ai posteri l’ardua sentenza.

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