Cuvée Prestige di Cà del Bosco, Maurizio Zanella: una doppia Edizione per fissare la nostra storia

(b.g.) La Cuvée Prestige di Cà del Bosco, uno dei più iconici metodo classico italiani, il Franciacorta che ha spopolato, rendendo nota al grande pubblico tutta una denominazione, allarga i propri confini. Per una piccola parte, cambia pelle dato che affianca al multi-vintage che tutti conoscono due Edizioni speciali: la 42.ma (vendemmie dal 2014 al 2017) e la 30.ma “Recentemente sboccato” che raccoglie vendemmie che vanno dal 2003 al 2005 con oltre 10, 12 anni di affinamento sui lieviti. I numeri delle Edizioni fanno riferimento alla prima vendemmia di Cà del Bosco ed alla prima della Cuvée Prestige. Maurizio Zanella (nella foto) di Cà del Bosco è l’anima, il protagonista delle scelte che nel volgere di una generazione hanno proiettato questa cantina fra le top della spumantistica, chiamata a tracciarne (unica italiana) la rotta futura assieme a poche altre al mondo.

Possiamo dire che queste due Edizioni vanno verso un’evoluzione complessiva della Cuvée Prestige?

«Diciamo subito che l’evoluzione della C.P. è dovuta più alla forza della natura che alla stretta volontà dell’uomo. Per capirci più chiaramente, quando è stata pensata, questa Cuvée poggiava su un numero di vigneti che oggi è enormemente aumentato ( da 160 a 250 ettari soltanto nel volgere degli ultimi anni), con impianti portati a quote sempre più alte, e da dieci anni a questa parte totalmente biologici nella conduzione. Questo ha cambiato il profilo della Cuvée, l’ ha resa più verticale, più minerale e più complessa. Ma per molti, non era ancora abbastanza decifrabile. Il successo stesso della Cuvée – che viaggia a seconda dell’annata da 700mila a 1,1 milioni di bottiglie prodotte – ed il fatto di essere un multi-vintage (frutto cioè dell’assemblaggio di vendemmie diverse), per una fascia di pubblico non erano fattori sufficienti a definirne appieno l’identità. Ecco, abbiamo voluto dimostrare che questo non è affatto vero: edizione dopo edizione si potrà comparare questa Cuvée con altri metodo classico, si potrà valutarne l’andamento nel tempo. La C.P. che il largo pubblico conosce non cambierà, resterà il Franciacorta non millesimato più “caro” in commercio a conferma dell’apprezzamento raggiunto. Al suo fianco una piccola produzione – circa 700 casse da tre bottiglie – andrà a soddisfare quei connoisseur winelover amanti del confronto, della comparazione, di degustazioni più limitate».

La ricerca estrema è alla base di queste due Edizioni il cui blend è generato in oltre 130 vigne, con variazioni nell’uvaggio dove al sempre predominante chardonnay vengono aggiunte aliquote diverse di pinot bianco e pinot nero  a seconda dell’Edizione; nel blend la quota delle annate più in là nel tempo è minoritaria sebbene il 2003 sia presente con ben il 10% del vino nella creazione della Edizione 30 RS: la complessità non fa evidentemente paura ad Erbusco. Dobbiamo però attenderci una Cuvée prestige meno leggibile di quella attuale?

«Guardi che io a questa storia della Prestige “piaciona” non credo affatto. E’ stata una semplificazione banale, se mi permette. Ritorno al concetto di prima: la Franciacorta, così come tutti i territori d’eccellenza italiana, ha una storia recente nell’alta qualità. Abbiamo fatto miracoli, tutti, ma siamo ancora lontani per tradizione da altri territori. Il mio riferimento è la Borgogna per l’attenzione che riserva al vigneto, il cuore vero dei grandissimi vini. Questi vigneti vengono curati, seguiti, da più generazioni e portano all’eccellenza assoluta. Noi siamo su quella strada, ma con tanti decenni di distanza. Tutto quello che facciamo va in quella direzione. L’attenzione alle vigne, la scelta dei nuovi siti, il lavoro in vinificazione. E’ una evoluzione continua, e questo è il cambiamento che lei avverte nella Cuvée Prestige. Pensi che da un paio d’anni potremmo dichiararla extrabrut per i livelli di zuccheri che registra; qualche anno fa questi livelli erano leggermente superiori, ma non siamo mai andati tanto più in là. Ma questo è avvenuto perché dalla vigna è arrivata un’uva diversa, frutto del continuo adattamento della pianta. Ripeto: oggi è più verticale, più complessa, ma questa è la sua evoluzione naturale».

La Franciacorta sta testando un proprio autoctono, l’Erbamat: che giudizio ne dà?

«Possiamo risentirci fra una decina d’anni? Al momento siamo ancora alla fase preparatoria: come Consorzio stiamo valutando i cloni, poi dovremo valutare i portainnesti, ci vorranno 5/6 anni per arrivare alla combinazione perfetta. Poi l’impianto e infine la produzione. Vedremo il risultato davvero fra una decina d’anni».

Lo immagina adatto soltanto per un utilizzo come “marcatore territoriale” in blend coi tradizionali vitigni impiegati in Franciacorta?

«Io credo molto in questo autoctono. Darà una identità ancora più marcata al Franciacorta che potrà contare su un proprio vitigno che renderà unici i nostri metodo classici. Inoltre ha delle caratteristiche eccezionali per contrastare gli effetti del global warming: matura quindici giorni dopo lo chardonnay ed ha un ph più basso degli altri vitigni che impieghiamo. Vuol dire che davanti ad una ondata di calore reagisce meglio di chardonnay e pinot nero. Al momento, il disciplinare che è stato avviato ne prevede un utilizzo massimo del 10,12%. Ma nulla ci vieterà più in là di portarne l’ammissibilità al 100%. Prevedere questa possibilità oggi sarebbe stato un po’assurdo: prima vediamo come si comporta e poi decideremo».

Mi spiega come raggiungete un livello così basso di anidride solforosa?

«Ah, questo è un vecchio vezzo di Cà del Bosco: abbiamo sempre pensato che si potesse lavorare per limitare l’utilizzo dei solfiti ed ottenere un vino più salubre. Abbiamo ben quattro brevetti in Cà del Bosco che in quattro momenti diversi azzerano il contatto del mosto e poi del vino con l’ossigeno, compresa la fase delicata della sboccatura. Il risultato è che abbiamo un livello di solfiti molto più basso di quello che impone la legge (rispettivamente 45 e 47 milligrammi nelle due Edizioni sui 185 ammessi) e noi, per la prima volta, in etichetta dichiariamo non soltanto che il nostro vino contiene solfiti, ma anche quanto ne abbiamo realmente. La ritengo un’informazione importante per un winelover che ha cuore anche la propria salute».

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