Due aumenti di capitale, un unico flop: la vera fine di una classe dirigente

(di Bulldog) Dei commenti politici ne leggerete ancora tanti. Anche su questo giornale. Anche nelle prossime ore. Sull’aumento di capitale di VeronaFiere e Aeroporto Catullo la politica si esprime. Come è giusto che sia. Ma c’è un punto centrale che riguarda noi contribuenti, noi che stiamo dando 60 milioni delle nostre tasse, a queste due società. Non sono i primi che versiamo, e che hanno versato i nostri genitori prima di noi, che immettiamo in queste realtà. Sicuramente, non saranno neppure gli ultimi e non mi scandalizzo per questo: abbiamo investito per avere delle infrastrutture. A volte si guadagna, altre volte si perde. Il punto è questo: la crisi del Covid è – ribadiamo – la crisi della verità, mette in evidenza cosa va e cosa non va delle strutture pubbliche e private. E una cosa che non va è la qualità della classe dirigente veronese. Non ci sono alibi di sorta. E la prova emerge da queste due vicende: si è fatta la gara per avere questi aumenti di capitale; si è fatto lobbying; si sono mossi i giornali, le associazioni imprenditoriali, i sindacati, la Chiesa…qualche manager ci ha presentato un progetto su come utilizzare queste risorse?

E non è certo un problema di tempo. Fiera e Aeroporto sono due realtà ferme da più di un anno. Che la pandemia sarebbe finita è scritto nella storia («Due Pasque e un Natale» calcolava la Repubblica Serenissima), che arrivino 60 milioni era ed è scontato. Ebbene, dove sono i piani di sviluppo? cosa ci facciamo con questi 60 milioni? quale strategia? quale mercato affrontiamo? cosa serve per mettere in sicurezza per davvero questi due enti? con chi agiremo? con quali energie? Mistero, sessanta milioni a scatola chiusa. Imbarazzante per dei manager. Nulla, l’unico problema affrontato: “come mandare in giro la politica a caccia di quattrini per salvare noi”… Un po’ poco, signori miei.

Sono stati presentati due falsi-programmi: il primo, Romeo per l’aeroporto, è un upgrade di uno scalo vecchio e brutto che non risolverà i problemi, ovvero non garantirà spazi sufficienti per l’area commerciale, il non-aviation che garantirebbe risorse per mantenere positivo il Catullo. Non a caso, è la metà del piano Giulietta (a Villafranca difettano in fantasia, è ovvio…) che chiedeva il doppio degli investimenti, ma destinava al commerciale quasi il 25% degli spazio disponibili, oltre 10mila metri quadrati sui 50mila realizzati, permettendo alla società di gestione incassi quotidiani. Nulla si dice sulla previsione di ripresa del mercato aviation che vedrà al 2050, secondo qualificati analisti di mercato, oltre 230 milioni di passeggeri negli scali del Nord-Italia che si spartiranno Milano, Bergamo, Venezia e Bologna lasciando soltanto 8 milioni al Catullo. Nulla viene detto su come risolvere per davvero, non con un volo postale al giorno…, il vero bubbone della società: quello scalo di Montichieri che ci è costato 100 milioni di euro e che è la causa di tutti i nostri guai.

E che dire della Fiera? si è fatto trapelare un piano che parla di Vinitaly, marmo, cavalli e agricoltura. Cioè delle cose su cui la Fiera campa da cinquant’anni. Si evoca la digitalizzazione dopo aver chiuso ogni esperimento digitale (fra cui l’ecommerce proprio alla vigilia del boom dell’ecommerce...). Manifestazioni nuove? settori merceologici nuovi? mistero (anche qui, si è chiusa la finestra sulle energie rinnovabili quando tutto il mondo già andava verso quella transizione…).

Dalla pausa forzata non è uscito uno straccio di piano che possa entusiasmare un investitore. Ma i cittadini veronesi sono gli investitori di Fiera e Catullo. Certo, la regola scaligera dell’autoreferenzialità vuole che i manager che gestiscono il denaro pubblico, e che lo fanno per lungo tempo, decidano fra di loro, meglio se in qualche stanza della curia, le grandi strategie. Adesso il Covid queste strategie ce le mostra: dalla finanza privata alle società pubbliche. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma se vogliono avere il rispetto dei veronesi, oltre che i loro quattrini, è meglio che i manager si mettano ad inventare qualcosa per uscire dalla crisi. Che la smettano di usare la politica come un taxi. Non sono Enrico Mattei. Nessuno di loro.

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