Fiera, i soci scappano dall’aumento di capitale. I padri fondatori si rivoltano nella tomba

(di Bulldog) C’è una società che ha un ruolo strategico per l’economia veronese, veneta e italiana: genera ogni anno un indotto miliardario e decine di migliaia di posti di lavoro. Senza questa impresa, l’agroalimentare, l’industria del marmo e il comparto equestre e tanto altro made in Italy  sarebbero nelle mani – molto probabilmente- di realtà economiche non nazionali. Ora, questa società vive dei ricavi generati dalle manifestazioni che organizza e che gestisce per conto terzi, in Italia ed all’estero. Il suo business è però in larga parte generato dai propri brand e dal proprio know-how.

Opera in una sede sfigata, dato che nel passato nessuno ha voluto investire per trovarle una sistemazione più degna: è circondata da quartieri anche residenziali, non ha un polmone di sfogo e soltanto da pochi mesi ha la concreta possibilità di costruirsi un ingresso importante utilizzando un’area limitrofa di archeologia industriale. Ha delle buone carte da giocare in mano, tutto sommato.

Non siete stupidi ed avete già capito che sto parlando della Fiera di Verona. Ora, fra dieci giorni i suoi soci (li vedete nella grafica) avrebbero dovuto mettere mano al portafoglio e ricapitalizzarla  con una iniezione di 30 milioni di €, niente rispetto al giro d’affari generato. I soci però – Comune di Verona in testa – sostengono che quell’aumento di capitale venne deliberato in un’altra fase economica, prima del Covid-19, e che quindi si basa su una valutazione vecchia, errata in eccesso…meglio non fare l’aumento oggi, meglio ricalcolare il valore post-Covid, meglio trovare un partner che finanzi, meglio tutto pur di non metterci dei soldi.

Ritengo questo approccio pusillanime e sbagliato. Zanotto, Ceni, Rossi non avrebbero mai pensato una stronzata del genere. Loro le infrastrutture le hanno fatte senza soldi in cassa ed hanno avuto regione ed hanno costruito la ricchezza odierna di Verona. E’ pusillanime perché questo è il momento della straordinarietà, delle scelte di coraggio, di cuore, pensando al futuro dei nostri figli, del valore della città nel suo complesso. Verona senza la sua Fiera, o con la Fiera povera, sarà anch’essa più povera. E’ sbagliato perché calcolare il valore della Fiera dopo sei mesi di lockdown (quello sanitario e quello estivo, tradizionalmente scarico di eventi a pagamento) è un assurdo che potrebbe proporlo uno che vuole prendersi a sconto la Fiera, non un azionista che la vuole difendere, veder consolidarsi e crescere. Cercare oggi, in questa situazione, un partner vuol dire negoziare partendo già da un punto di debolezza.

L’idea non è nuova: davanti alla complessità delle sfide dell’economia globale, la politica locale non sceglie di accettare la sfida, di attrezzarsi, prepararsi e mettere in campo le risorse migliori; no, cerca di monetizzare, una via d’uscita, meglio un po’ di cash oggi e che siano altri a gestire. Aeroporto, Fondazione Arena, domani la Fiera…poi non resterà altro e avremo la nostra decrescita felice. Una capitale potenziale del Nord che diventa ben che vada un buen retiro. Questa fuga davanti alla complessità si chiama diserzione dai propri doveri istituzionali. Se oggi la Fiera va difesa, si deve sostenerla facendo l’aumento di capitale e non abbandonando il management a cercare soluzioni alternative in dieci giorni.  Se il Comune questi soldi non ha, prende il Freccia Rossa e si parcheggia davanti a Palazzo Chigi sino a che non torna a casa coi 9 milioni mancanti. Fa il giro degli altri soci e recupera il resto dell’aumento di capitale. E’ una crisi straordinaria e di sistema. Serve una risposta straordinaria e di sistema, veronese soprattutto. Se il Comune non ha le palle per farlo, allora sappiamo tutti come andrà a finire: chi non voleva Milano in Agsm se la ritroverà in Fiera. Cazzo, che fortuna…

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail