Filovia? il flop prende la forma di 60 milioni di euro

Cinque giorni per annullare la rescissione del contratto: poi ATI andrà in giudizio. E il primo conto che arriva è quello dei mezzi realizzati e in produzione come da contratto: 60 milioni di euro. Passata l’euforia, per AMT e Comune viene il momento di fare i conti dello stop ad Opera, la filovia più sfigata della storia: conti politici (come si evidenzia qui) e conti economici, se la magistratura dovesse pronunciarsi a favore delle sei imprese dell’ATI.

Oggi sono arrivate le contestazioni delle imprese ad AMT. Punto primo: i quattrini. A gennaio AMT evidenziava le sue difficoltà a pagare i fornitori in assenza di trasferimenti da Roma. Qualche dubbio doveva essere venuto all’ATI se come denuncia i pagamenti precedenti hanno avuto ritardi sino a 272 giorni. Dall’ottavo SAL in poi non si è più visto un quattrino, e le imprese già fuori di oltre 3 milioni€, hanno visto anche fermarsi la contabilizzazione dei lavori in svolgimento. Zero contabilizzazione, zero possibilità di avere fondi. Da qui le difficoltà finanziarie che hanno contribuito ad ampliare le difficoltà finanziarie della società CLEA che in questo scenario si è trovata ad affrontare una grave crisi di liquidità.   L’ATI si è vista costretta a chiedere evidenza ad AMT della effettiva disponibilità dei “soldi” per pagare gli stati di avanzamento lavori. Per attestare tale circostanza sarebbe stata sufficiente una dichiarazione dei vertici di AMT, attestante, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 47, 75 e 76 del DPR 445/00 l’effettiva disponibilità dei finanziamenti che però non è mai arrivata.

Punto secondo: il 24 aprile 2020, in pieno lock-down, il Consorzio capogruppo dell’ATI in considerazione delle difficoltà finanziarie di CLEA comunicava ad AMT di aver deliberato la sostituzione di Clea con la propria consorziata Sinergo al fine di garantire la ripresa dei lavori post Covid-19 e il loro regolare proseguimento. AMT ha impiegato oltre un mese per una semplice presa d’atto che era però indispensabile affinché la nuova assegnataria potesse avere titolo ad operare direttamente e stipulare contratti di fornitura e/o di subappalto.

Punto terzo, il cambio del progetto: a giugno, si aggiungevano le notizie apparse sulla stampa locale (16 e 17 giugno 2020) in cui veniva sottolineata la volontà di modificare il progetto e che trovavano conferma in una riunione in cui i rappresentati dell’ATI esecutrice venivano messi a conoscenza di questa intenzione direttamente dai vertici di AMT e dal Sindaco di Verona presente alla riunione.  Quest’ultima iniziativa, aggiungendosi alle note difficoltà finanziarie di AMT e a quelle derivanti dall’emergenza Covid, generava grande diffidenza in tutti gli operatori appartenenti alla filiera di realizzazione dei lavori (fornitori e subappaltatori), già colpiti dalla crisi della CLEA, i quali si mostravano restii ad assumere nuovi impegni finalizzati a proseguire lavori che da lì a breve sarebbero stati verosimilmente interrotti.

Punto quarto: l’intenzione di stravolgere il progetto nonostante fosse già in avanzato stato di esecuzione prendeva concretamente forma il 21 luglio quando AMT disponeva illegittimamente “la sospensione dei lavori e delle forniture di tutte le opere civili ed impiantistiche legate alla realizzazione della linea di trazione elettrica, nonché della fornitura dei mezzi filoviari motivandola con l’opportunità da parte della stazione Appaltante di valutare la variante progettuale richiesta dall’Amministrazione, ipotizzando altresì la realizzazione di un sistema innovativo a ricarica flash, in luogo della linea di trazione bifilare”. È agevole comprendere che la decisione di modificare i veicoli avrebbe avuto un impatto significativo anche nella rimodulazione del sistema di alimentazione e conseguentemente anche sulle opere civili. La decisione arrivata con i lavori in stato avanzato ha avuto un impatto devastante per le aziende esecutrici che avevano già provveduto e ordinato buona parte dei componenti ed avevano organizzato i siti produttivi per la realizzazione del progetto di contratto. Ad oggi si stima che i materiali già ordinati e disponibili per la realizzazione dei veicoli e della linea di contatto ammontino a circa 60 milioni di euro.

Punto quinto: AMT ha fatto disporre la ripresa in data 20 aprile 2020 trascurando che l’intera filiera produttiva era ancora ferma per il lock-down, salvo poi decidere di sospendere di nuovo il 21 luglio 2020 le lavorazioni. In aggiunta, come formalmente contestato dall’ATI negli atti dell’appalto, buona parte dei lavori non sospesi il 21 luglio non erano eseguibili per cause riconducibili ad esclusiva responsabilità di AMT e consistenti nella mancata consegna delle aree su cui insistono le opere, nel mancato ottenimento di concessioni e/o di autorizzazioni di enti terzi indispensabili per realizzare le opere. In conseguenza di quanto sopra l’ATI esecutrice si trovava ancora una volta a dover riorganizzare il proprio apparato produttivo senza poter garantire agli operatori della filiera produttiva un minimo di continuità lavorativa ma esclusivamente lavorazioni residuali dell’appalto aggiudicato consistenti in limitati interventi di sistemazione stradale per le quali tra l’altro il committente continuava a frapporre ostacoli.

In sintesi il 21 luglio l’ATI si è vista costretta a ripiegare una complessa organizzazione messa su con notevoli investimenti per realizzare un’opera da 130 milioni di euro dall’elevatissimo contenuto tecnologico per dedicarsi unicamente a piccoli lavori di manutenzione stradale, spostamento di sottoservizi e sporadici interventi di edilizia civile per un valore complessivo prossimo al 10% dei lavori appaltati. Un’altra organizzazione avrebbe consentito di essere perfettamente in linea con il cronoprogramma contrattuale.

Nonostante l’incertezza sull’effettiva diponibilità dei finanziamenti, gli innumerevoli impedimenti non ancora rimossi da AMT e l’illegittima sospensione dei lavori disposta il 21 luglio 2020, l’ATI, in considerazione del preminente interesse pubblico, ha invitato AMT a riformare la propria decisione annullando il provvedimento di risoluzione entro cinque giorni trascorsi i quali si vedrà costretta a tutelare i propri interessi in qualsiasi sede anche in funzione dei profili di responsabilità che dovessero man mano emergere demandando alle autorità competenti l’accertamento dei fatti. Cinque giorni, come alle cameriere…

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