I Talebani si riprendono l’Afghanistan con l’appoggio della popolazione. Ma che cosa c’avevano raccontato?

Ogni giorno vengono riportati i bollettini di guerra dall’Afghanistan dove i Talebani, dopo la ritirata degli Americani, si stanno riprendendo rapidamente tutto il paese, città dopo città. Nel giro di un paio di mesi arriveranno a Kabul. Hanno gioco facile: godono dell’appoggio della popolazione. Lo dicono le agenzie occidentali. Ma come? I Talebani non erano dei fanatici reazionari e violenti? Era per liberare da loro l’Afghanistan che gli Americani avevano iniziato una guerra durata vent’anni. Seguiti dalla Nato e con essa noi Italiani. Liberare da che, visto che i Talebani hanno l’appoggio della popolazione?
C’è qualcosa che non torna. La più grande potenza del mondo in vent’anni non è riuscita ad avere ragione di questi “selvaggi”. Ricorda molto la guerra del Vietnam. E il pretesto con il quale hanno invaso l’Afghanistan, il terribile attentato delle Torri Gemelle, nel cui commando però non c’era neanche un afghano, ricorda molto le famose “armi di distruzione di massa”, mai trovate, prese a scusa per invadere l’Iraq.

Vent’anni di bombardamenti, distruzioni, morti – compresi donne e bambini- per poi tagliare la corda. Vogliamo porcela qualche domanda? Che cosa ci hanno raccontato?  I Talebani erano gli stessi che nella guerra 1979-89 avevano cacciato da casa loro degli altri invasori: i sovietici. Ma allora erano bravi. Hanno potuto vivere in pace a caso loro solo 10 anni. Fino a quando il mullah Omar, loro eroe e capo, “decise – come scrive Massimo Fini nel suo libro “La modernità di un antimoderno” ed.Marsilio- di non affidare la costruzione del colossale gasdotto che dal Turkmenistan avrebbe raggiunto il Pakistan e quindi il mare, passando per la maggior parte del territorio afgano, all’americana Unocal (un affare di migliaia di miliardi in cui era coinvolta mezza amministrazione Usa, da Dik Cheny a Condoleeza Rice (…)”
“Gli Americani – continua Fini nel suo libro- se la legarono al dito. Invano nel 1998 e nel 1999 il mullah Omar propose agli Stati Uniti e all’Onu di bloccare la coltivazione del papavero, da cui si ricava l’oppio – che era un’ansa richiesta dell’Agenzia delle stesse Nazioni Unite, sempre inevasa- in cambio del riconoscimento internazionale. Gli Americani avevano risposto niet e avevano imposto all’Onu di fare altrettanto. Ciononostante nel 2000, un anno prima della guerra, il mullah Omar decise autonomamente di bloccare la coltivazione del papavero. Nessun governo afgano c’era mai riuscito, anzi non ci aveva mai provato. Si trattava di una decisione difficilissima, quasi impossibile, perché su queste coltivazioni vivono centinaia di migliaia di contadini afgani e nessuno dei governi che si erano succeduti dopo la cacciata dei sovietici aveva avuto l’autorità, la forza, il prestigio e soprattutto la voglia di prenderla (…) Il mullah Omar, guida spirituale dei Talebani, aveva il prestigio, l’autorità, la forza perché controllava realmente il 90 per cento del paese, e godeva del sostegno della maggioranza della popolazione (…).

Sarà forse perché, come non si può andare in paradiso a dispetto dei santi, non si può governare un paese a dispetto del popolo, gli Americani, ancora una volta, sono costretti alla ritirata. Esportare la democrazia e la libertà a suon di bombardamenti quantomeno non porta bene.

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