Il piano europeo di trasformazione è l’ultimo treno dello sviluppo. E Verona non può perderlo.

(di Stefano Tenedini) Non occorre essere un pendolare per sapere che in Italia i treni sono più un’ipotesi che una certezza, anche perché come Paese siamo comunque abituati a perderli. Ma oggi il capotreno abita a Bruxelles, e i binari corrono da Lisbona fino a Tallinn: quindi o ci diamo una svegliata oppure la storia non sarà più rimanere in stazione con il biglietto in mano: il mercato è talmente globale, lo si voglia o no, che se non alziamo gli occhi dall’ombelico il nostro binario nazionale sarà così morto che si sentirà la puzza da lontano.

Il prossimo treno che rischiamo di perdere è un convoglio europeo: si chiama Next Generation EU e passerà una volta sola. La responsabilità di salirci (o di venirne maciullati) è solo nostra: del governo, dei cittadini in quanto elettori, delle istituzioni del territorio, delle categorie, delle lobby legittime o no, delle imprese e dei loro dipendenti. Nessuno ha il permesso di chiamarsi fuori: è un classico caso di “parla – e faci – ora o taci per sempre”. Piaccia o no, la UE è l’orchestra, il direttore, il compositore e il maestro di danza. O noi balliamo questa musica, guadagnandoci tutti la prospettiva di un futuro (non migliore: di UN futuro), oppure faremo tappezzeria come alle festine delle medie.

Il progetto della UE contiene tante cose: è un libro dei sogni in senso positivo, con l’impegno a investire un sacco di soldi per la trasformazione industriale, lo sviluppo digitale, la ricerca, nuovi paradigmi produttivi e occupazionali. È la prospettiva di frenare la degenerazione dell’ambiente non perché lo dicono gli ecologisti ma perché il clima è davvero un’emergenza reale: e migliorando i processi potremo vivere meglio, guadagnandoci pure. La UE mette in campo sui progetti un centinaio di miliardi l’anno, purché mirati, seri ed efficaci.

La presidente della Commissione UE, Ursula Von der Layen (nella foto quando era ministro della Difesa di Berlino) lo ha presentato con una formula che tiene insieme buon senso, progettualità e rigore. Concentriamoci sul tono del messaggio: “È la nostra opportunità – ha detto in sintesi – per far sì che il cambiamento nasca da un progetto, non come risposta a un disastro. Dobbiamo uscirne più forti creando occasioni per il mondo di domani, e non inseguendo le necessità del mondo di ieri”. Di tutto questo che cosa ha capito l’Italia che arranca con la testa girata indietro? Che arriverà una svalangata di soldi e che grazie a questi soldi potremo evitare di affrontare e risolvere tutti i nostri problemi strutturali. Sbagliato. Come pensare che basti presentare le slide di una task force per risolvere la crisi sanitaria ed economica del Covid: soldi o non soldi, senza visione, impegno e capacità di trasformarla in piani e cantieri (anche mentali, mica solo putrelle e cemento), resteremo fermi qui mentre gli altri corrono. Lo sentite il fischio del treno che se ne va?

Parliamo di imprese, che alla fin fine sono quelle che devono lavorare. Finora abbiamo visto muoversi una parte di aziende dotate di questa visione, voglia, capacità di innovare, di far proprio un progetto di sviluppo, di puntare sulla sostenibilità. Queste imprese sono già in linea con Next Generation EU e con il Green Deal, nutrono la speranza che si possa produrre bene e crescere in un’Europa che vuole diventare “il primo continente climaticamente neutro” entro il 2050. Ma sono ancora poche: troppe altre invece puntano sugli aiuti e le proroghe, accettando parole invece di pretendere fatti: come se saltasse il contatore e invece di riaccendere la luce ti dessero uno sconto in bolletta.

A Verona ci sono aziende internazionalizzate, innovative, in regola, che hanno i pannelli solari e raffreddano gli impianti con l’acqua piovana, che formano i dipendenti, che per star bene in mensa hanno i menu preparati dai dietologi, che non evadono il fisco e sostengono la comunità e il territorio. Non è a loro che si rivolge il progetto europeo. Queste vanno avanti anche senza lo Stato: no, scusate, vanno avanti nonostante lo Stato. Alle altre auguriamo di vedere la luce, prima o poi, e di darsi da fare perché non ci sono pasti gratis ma solo impegno e serietà, anche se qualcuno lo sta facendo credere agli italiani.

Alle imprese e ai lavoratori, agli enti economici, alle istituzioni locali, nessuno escluso possiamo solo tornare a dire “Verona svegliati!”, perché il progetto e lo stanziamento economico della UE è un’opportunità unica (e l’ultima). O ce la facciamo a restare competitivi e creiamo business e lavoro qui nel Nordest, oppure i soldi europei se ne andranno, come fanno da un po’, a Nord e a Est.

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