Il ragazzo che ha sfidato il destino ed ha inventato un territorio

(di Bernardo Pasquali) Per farmi capire il senso della parola Cavalchina, Luciano mi accompagnò fuori, nel piccolo parcheggio della cantina, all’esterno del grande portone di legno. Il cielo era terso e il vento soffiava talmente forte da sibilare attraverso l’inferriata. Era aprile inoltrato e si poteva notare come la luminosità del cielo sopra il Lago di Garda, fosse più vitrea e brillante e inondasse di luce le vigne di Custoza. “Ora capisci Berni perché mi sono innamorato di questo posto? La Cavalchina è una dolce collina, leggermente sollevata, dove posso guardare, in un colpo solo, tutte le terre della nostra famiglia. Là dietro! La vedi la cupola del Duomo di Mantova? Lì a destra! Le colline di Monzambano dove ci sono le vigne della Prendina. Più in là a sinistra, non si vede, ma c’è la nostra piccola vigna di Lugana, sul laghetto del Frassino. Ma la cosa che mi emoziona di più, in queste giornate, è quando guardo verso est, sulle colline davanti a noi, e riesco ad individuare la nostra vigna di Pian di Castagnè. La vedi?”.  No Luciano, ho contato le colline insieme a te ma alla fine non sono mai riuscito a capire dov’era quel piccolo pezzetto di terra di Torre d’Orti. Luciano era così, ti trasportava con semplicità e autenticità, nel suo magnifico mondo della vigna e del vino.

Luciano Piona l’ho conosciuto nel lontano 2005, durante un percorso di degustazione che tenevo sulle varie espressioni della Garganega, dalle colline moreniche del Garda fino alle terre vulcaniche di Roncà; quando ancora il suo vino Paroni, era di Garganega con una piccola quantità di Riesling.  Ricordo la sua incredibile capacità di dire tutto con poco. Un approccio essenziale e gioioso al mondo del vino lontano da qualsiasi vanità o autoreferenzialità. In cantina, Luciano, amava sedersi con me e Franco per assaggiare i nuovi millesimi. Gli piaceva ascoltarmi finché raccontavo dei molti pregi e delle poche criticità dei suoi vini. Amava la sincerità e la schiettezza. Eppure ogni volta, quando il clima si faceva troppo sostenuto, gli piaceva chiosare così: “Comunque Berni alla fine di tutto posso dirti una cosa? A me piace!” e si finiva in una bella risata che riportava tutti sulla “terra”. Luciano mi ha insegnato tre cose fondamentali che ho sempre portato dentro me, facendole mie nella professione di comunicatore del vino:

  1. Mai dire “che schifo” di un vino. Dietro di esso esiste un mondo sacro fatto di natura, terra e vigna, donne e uomini, ideali e sacrifici, sogni e conquiste. Chi ama il vino rispetta chi lo produce.
  2. Ricerca lo stupore della semplicità. “Berni sai qual è la mia più grande soddisfazione? Quando apro il Bardolino Superiore e vedo la gente che si emoziona. Quando al mio Amedeo conferiscono premi e riconoscimenti, Tre bicchieri, stelle e corone. Non fermarti mai davanti alla ricerca della qualità. Dai spazio e voce ai piccoli territori, a quelli che non ti fanno fare audience facilmente,  ma ti danno sostanza e autenticità”
  3. Se puoi fai squadra. Allontana le divisioni e favorisci la condivisione di grandi progetti. La forza di un territorio non può passare altro che da lì. Camminare insieme aiuta a migliorare se stessi e a rispettare gli altri.

Luciano non si è mai tirato indietro per la sua terra. È stato il primo a scrivere Custoza su una bottiglia. Ha guidato il Consorzio e lo ha fatto sempre sapendo di essere a volte isolato e contrastato. Se eri un produttore di Custoza eri un bravo produttore a prescindere! Questo mi ha sempre stupito di Luciano. Mai una sentenza, mai una critica severa sui suoi colleghi produttori. Piuttosto un sorriso, anche per quelli che ritenevano il suo tempo dedicato al Consorzio sostanzialmente inutile.

Ha lottato tutta la sua vita per dare dignità a territori che non erano considerati di “serieA” nel mondo del vino. Ma proprio questa era la sua sfida: dimostrare che puntando tutto sul rigore produttivo e la qualità ogni preconcetto e pregiudizio poteva essere scardinato all’origine. La sua soddisfazione più grande era vedere i suoi vini, provenienti da territori un po’ snobbati, riuscire a competere con i più grandi interpreti della produzione enologica italiana. Talvolta superandoli!

Più Custoza che Bardolino, più Custoza che Lugana, più Custoza che Prendina. Poi ecco l’arrivo di una terra che lo ha fatto sussultare e forse, più di ogni altra, lo ha distolto dal suo primo amore: la bella Valle di Marcellise, la sua Valpolicella orientale. Ricordo ancora quella volta che ho assaggiato con lui il primo campione di Valpolicella Superiore Torre d’Orti. Ricordo il suo entusiasmo; quello di un bambino. Gli occhi che brillavano nel racconto di questa vigna sulla dorsale calcarea di Pian di Castagnè. Torre d’Orti era la chiusura del cerchio della vita da vignaiolo. Non dimenticherò mai la sua confidenza: “Quando mi guardo indietro vedo un ragazzo che sfida il destino, che va oltre la professione del padre e che decide di dedicarsi al suo sogno che era la terra, la vigna e il vino. Con questo vigneto in Valpolicella ora posso guardare in faccia i miei genitori con la grande convinzione che quella è stata la scelta giusta, la migliore che potessi mai fare. So che sono orgogliosi di tutto quello che abbiamo fatto”.

Il venerdì 16 Novembre 2018, con l’AIS Veneto, ho realizzato un piccolo sogno di Luciano che, da un po’ di tempo, mi sottoponeva. Era il Vinitaly del 2016 e, seduto al tavolino del suo stand, mi chiese: “Mi piacerebbe far capire meglio tutte le potenzialità di un grande territorio come la Valpolicella di Marcellise e vorrei che tu organizzassi una degustazione con tutti i produttori di quella valle”. Luciano era questo. A lui non interessava una degustazione con i suoi vini. A lui stava a cuore una terra poco conosciuta che offriva però delle eccellenze rare e assolute. A lui stava a cuore il confronto con i suoi amici e colleghi vignaioli. Mi diceva sempre “Berni non lo facciamo per vedere quale è il vino più buono, lo facciamo perché deve essere una bella occasione di emersione di un territorio. La condivisione di un’esperienza straordinaria di vignaioli su una terra “nuova””. Quella serata incredibile e indimenticabile la devo solamente tutta a lui e alla sua indomabile insistenza.

Luciano era un uomo carismatico, un leader semplice e umile ma, un leader incontrastato. Oggi lascia un vuoto incolmabile in tutti i cuori di chi lo ha conosciuto. Lascia la sua famiglia che adorava cosi tanto. Lascia il fratello Franco, il suo vincastro; una storia d’amore fraterna che è passata attraverso vigne, cisterne e bicchieri, ma anche, feste, musica e rock & roll. Luciano e Franco, un binomio perfetto, dove si percepiva il grande rispetto e sostegno reciproco. Le terre gardesane e Custoza devono molto a Luciano Piona, Verona gli deve molto. Io gli devo molto!

Tornerò su alla Cavalchina e, in un giorno di cielo terso, guarderò dallo stesso posto quelle terre che tu mi indicavi. Non ci sarà più la tua mano sulla spalla ma la dolce brezza del Pelèr ad accarezzarmi il viso e farmi sentire che TU SEI quella collina. E questa volta ti prometto che, laggiù in fondo, troverò Torre d’Orti!

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