Invece di perdere tempo su faccetta nera, progettiamo un recovery plan per l’Africa

(di Gianni De Paoli) Nell’intervista a Mediaset il Papa ha toccato ancora una volta il problema immigrazione invitando ad aiutare i paesi poveri. L’Italia è il paese che investe di più in Africa dopo Cina ed Emirati Arabi. Noi non abbiamo avuto l’impero coloniale di Inghilterra, Francia, Belgio e Olanda né abbiamo potuto goderne dei benefici  postumi come il Commonwealth, tuttavia  investiamo. E già questo dovrebbe essere considerato un aiuto più concreto di molte chiacchiere terzomondiste e ci dovrebbe esonerare da altri tipi di “soccorso”. L’Africa però non cresce al ritmo necessario e rischia di perdere l’appuntamento con i nuovi trend dell’economia globale permanendo in uno stato di sudditanza. E si pone un dilemma: come aiutarla a crescere e contemporaneamente tutelare gli investimenti se gli assetti politici del continente rimangono quelli attuali, con bande di delinquenti al potere in molti paesi?

L’Africa è la chiave per risolvere i nostri problemi, primo fra tutti l’immigrazione. E’ lo sbocco naturale dell’Europa. Con un problema però. La decolonizzazione seguita alla 2^ guerra mondiale l’ha devastata consegnandola alle multinazionali che l’hanno il saccheggiata, provocando desertificazione, povertà, fame a differenza e peggio delle potenze coloniali, che sfruttavano sì le risorse, ma nel contempo garantivano gli equilibri ambientali e i bisogni essenziali.

Pensare di risolvere il problema Africa basandosi solo sugli investimenti, senza intervenire negli assetti politici significa lasciare tutto com’è.

C’è solo una strada per salvare in un sol colpo Europa e Africa. Organizzare un piano internazionale, magari sotto l’egida dell’Onu, per risolvere alla radice il problema principale che è quello della palese incapacità di gran parte di quegli stati di autogovernarsi, di garantire i diritti umani e i bisogni essenziali. A parte qualche eccezione gli stati africani sono un disastro, altrimenti non ci sarebbe il fenomeno emigratorio. Per molti giovani africani il loro Paese non offre alcuna possibilità per il futuro a causa di ragioni etniche, religiose, di formazione, di organizzazione dello stato.

I paesi europei, Russia compresa, ma anche Usa, Cina, Giappone, Australia devono assumersi l’onere di “adottare”, come se fossero delle province d’oltremare, uno o più paesi africani garantendo alimentazione, salute, istruzione, ordine e diritti umani, sostenibilità e tutela ambientale in cambio dell’utilizzo delle risorse sotto controllo internazionale. I Paesi più ricchi debbono farsi carico della costruzione di una nuova classe dirigente africana, senza neo-colonialismi e paternalismi.

Solo così si può risolvere il problema dell’immigrazione alla radice.  L’azione caritatevole e quella individuale equivalgono a buttare acqua in un secchio bucato.

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