Italiani per forza, un libro per unire tutti gli Italiani

(di Angelo Paratico) L’editore Solferino ha da poco pubblicato il libro di Dino Messina “Italiani per forza. Le leggende contro l’Unità d’Italia che è ora di sfatare”. Messina, giornalista del Corriere della Sera e scrittore di origini lucane, ha creato un volume denso di dati e di riferimenti storici, riportandoli in maniera assolutamente equa e spassionata. Questo è un libro che tutti gli italiani dovrebbero leggere e ci auguriamo che verrà fatto leggere a scuola anche ai nostri ragazzi. Le pagine scorrono come in un avvincente romanzo, pur trattandosi di divulgazione storica d’altissimo livello. E non a caso viene presentato con un ricco indice e una cronologia degli avvenimenti, caso raro in Italia, ai quali il lettore può far riferimento per orientarsi in eventi sui quali si è disputato con passione per 160 anni e che hanno prodotto un  generale intorbidimento delle acque.

Lo sbarco di Pisacane nel 1857 fu uno spartiacque, pur essendo stato mal organizzato. I patrioti non avevano ben soppesato la reazione delle altre potenze europee  e dunque fallì miseramente, ma le vite sacrificate da quei giovani ispirò altri uomini a ritentare l’impresa. Dino Messina analizza dettagliatamente la posizione del Regno delle Due Sicilie a livello internazionale prima dell’arrivo di Garibaldi, mostrando l’isolamento dei Borbone, sia a Parigi che a Londra. Questo fu un fatto che alla fine segnò il loro destino più di ogni altra cosa. Lo Stato borbonico crollò anche, ma non solo, per la mancata modernizzazione della sua economia, della politica e del sistema di tassazione, ma soprattutto a causa della costante azione di logoramento da parte dalle grandi potenze marittime (Francia e Inghilterra) che dalla metà del XIX secolo tentarono di trasformarlo in una propria colonia economica e in un avamposto utile alla loro strategia nel Mediterraneo.

La Gran Bretagna protesse e favorì l’impresa dei Mille per rafforzare l’Italia, che vedeva come una spada puntata verso il loro nemico, la Francia, che pure avevano battuto quarantacinque anni prima a Waterloo ma che si stava rapidamente rafforzando. Come scrisse Garibaldi nelle sue Memorie, nel ricordare il momento dello sbarco a Marsala: “La presenza dei due legni inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de’ legni nemici, naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo a ultimare lo sbarco nostro. La nobile bandiera di Albione contribuì, anche questa volta, a risparmiare lo spargimento di sangue umano; e io, beniamino di cotesti signori degli oceani, fui per la centesima volta il loro protetto”.

Certamente senza la presenza dei vascelli britannici Argus e Intrepid che si trovarono, non casualmente, davanti a Marsala sulla linea di fuoco dei vascelli napoletani che fronteggiavano i piroscafi Piemonte e Lombardo, questi sarebbero stati colati a picco, con Garibaldi e le sue camicie rosse sopra. L’eroe dei due mondi era molto popolare in Gran Bretagna ed era un massone convinto, come Mazzini, perciò veniva considerato come una punta di quel movimento sovranazionale che mirava a “completare la piramide” degli Illuminati. Infatti, la ferma intenzione di Garibaldi era di marciare su Roma per rimuovere il papa, subito dopo aver preso Napoli, ma Vittorio Emanuele II e la Francia s’opposero e solo questo lo fece desistere.

Un certo ruolo lo giocarono la camorra a Napoli e la mafia in Sicilia, ma non è facile inquadrare il ruolo da loro giocato. E come considerare gli uomini che issavano i vessilli gigliati di Francesco II: guerriglieri che combattevano contro l’invasore sabaudo o dei semplici criminali? Alcuni capitoli del libro vengono dedicati alla vulgata neoborbonica, con il campo di prigionia di Fenestrelle nelle Alpi, ai confini con la Francia, dove nel novembre 1860 furono deportati per un breve periodo una parte dei prigionieri dello sconfitto esercito borbonico. Il secondo punto del contendere è un paese sannita, Pontelandolfo, che assieme a Casalduni fu incendiato dai soldati del generale Enrico Cialdini, il 14 agosto 1861, come rappresaglia per 41 militari uccisi dai briganti e dalla popolazione. Fenestrelle e Pontelandolfo rappresentano due casi emblematici in cui si fronteggiano due versioni opposte: la neoborbonica e quella degli storici di professione che, nella loro esposizione, non possono prescindere dai documenti. E gli archivi dove si trovano le prove dell’indagine storica raccontano una verità diversa da quella che vorrebbe centinaia o migliaia di morti provocati dalla crudeltà piemontese.

Un ruolo notevole nella diffusione di mezze e false verità è stato svolto dai social media e da Internet negli ultimi anni. La versione neoborbonica dell’Unità d’Italia è stata certamente stimolata dalla narrazione basata su dati propagandistici, diffusa negli anni Ottanta dalla Lega Nord, che vedeva le regioni settentrionali danneggiate da un Mezzogiorno parassitario, una tesi che i leghisti hanno ormai messo in soffitta, assieme ai Kalashnikov da oliare e il celodurismo di Umberto Bossi.

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