La Meloni vuole cambiare il rapporto fra fisco e contribuente con un concordato preventivo biennale

Giorgia Meloni vuole cambiare il rapporto fisco/contribuente e sta facendo studiare un sistema fiscale che combatta l’evasione a monte, prima che si realizzi, facendo dialogare l’Amministrazione finanziaria con i cittadini, così da portarli a pagare spontaneamente le tasse dovute.
Il sistema, destinato alle piccole e medie imprese, sarebbe un concordato preventivo biennale. L’Agenzia delle Entrate, in base ai suoi dati, stima il reddito dei contribuenti che convocherà dicendo loro quanto devono fatturare. Nulla sarà dovuto se il fatturato sarà maggiore. Se il contribuente accetta, bene. Altrimenti sarà soggetto a verifiche. 

Invece per le multinazionali e le grandi imprese si vorrebbe incentivare la ‘cooperative compliance’, che già esiste e prevede che Agenzia delle Entrate e impresa si confrontino preventivamente. Questa potrà rappresentare anche un’opportunità per i professionisti per diventare cinghia di trasmissione tra amministrazione finanziaria e contribuente.
Questo Giorgia Meloni ha annunciato in un’intervista al Sole 24 ore.
L’idea di creare un dialogo preventivo fra contribuente e fisco è buona, ma il terreno è molto scivoloso e comporta rischi. Il primo sta nell’atteggiamento dell’Amministrazione finanziaria che per determinane il reddito tratterà con il contribuente in base ai ‘suoi’ dati. Dati che molte volte sono parziali, non aderenti alla realtà operativa. Dati che dovrebbero essere stabiliti con i rappresentanti della categorie e non in modo unilaterale.
Altro problema: viene concordato un certo reddito per due anni. Se aumenta, bene, non c’è niente da pagare in più. Ma se per qualche motivo ha un improvviso calo? Il contribuente deve pagare lo stesso tasse per quello che non ha guadagnato o l’agenzia ascolterà concretamente le ragioni dell’imprenditore? E’ giusto? Quello che è successo col Covid dovrebbe aver insegnato qualcosa.
L’intento di creare una collaborazione preventiva fisco/contribuente riguarda il metodo. Non il merito che è la tassazione, che in Italia è tra le più alte del mondo. Ed è sul merito che bisogna intervenire prima di ogni altra cosa.
Le aliquote delle imposte sul reddito sono altissime. Di un livello tale da essere esse stesse induttrici di evasione. Tanto che nei programmi elettorali per disincentivarla si parlava di flat-tax, ovvero di una riduzione delle aliquote, accompagnata da un aumento delle severità delle sanzioni.
Questo per le imposte dirette. Poi però ci sono anche quelle indirette, sui beni di consumo. Che tutti paghiamo attraverso l’Iva, che rappresenta il 22% del prezzo di ciascun bene acquistato, ovvero quasi un quarto del suo valore. Per non parlare della benzina, sulla quale le accise e l’Iva incidono al 55%.
Fra imposte dirette e indirette si arriva anche al 70% di quanto un lavoratore autonomo incassa. Vale da dire che su dieci giorni di lavoro sette servono per pagare le tasse. Una follia. Che in molti casi è anche all’origine di un certo tipo di evasione ‘difensiva’. Ed è qui, su questo meccanismo infernale che il, governo dovrebbe intervenire in primis. Poi si facciano anche i concordati anticipati. Ma a patto che sia fatto con correttezza e senza pregiudizi. E non con uno dei due contraenti con la pistola sotto il tavolo.

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