L’affaire torture, ovvero l’hobby del momento: punire i poliziotti per lavarsi la coscienza

(di Sergio Noto) Bruttissima, pessima figura per Verona con lo scandalo delle «torture poliziesche».
Ma c’è di peggio. Diamo per scontato che i fatti, così dettagliatamente raccontati, siano tutti veri e gli imputati siano responsabili di quanto loro attribuito.
A parte i cavilli infiniti del sistema giudiziario italiano (in cui troppo spesso la realtà dei fatti è ben lontana dalla realtà giudiziaria), manca qualcosa. Tutti sanno che la polizia è sottopagata, sottoposta a turni insostenibili e male attrezzata.
Questo certamente non costituisce giustificazione a nessun atto delittuoso. Tuttavia, è troppo comodo dare la responsabilità agli agenti, agli ispettori accusati. Guardiamo le colpe dei vertici prima di affossare chi sta alla base ed è spesso chiamato solo a fare «i lavori sporchi».
Forse non era suo dovere d’ufficio, ma certamente il capo, cioè il questore/a aveva il dovere morale e materiale, al primo sentore di questo andazzo – e certe cose un capo le sa subito, altrimenti è meglio che cambi mestiere – di chiamare i responsabili e stroncare sul nascere certi comportamenti, senza che si diffondessero e degenerassero. Meno danni, meno rumore.
E invece no, si è lasciato marcire la situazione, le torture sono reiterate, salvo poi tirarsi fuori, fare l’anima bella e denunciare i «cattivi» poliziotti.

La colpa di chi comanda è sempre ontologicamente (e doverosamente) superiore alla somma totale delle colpe dei sottoposti. Non c’è bisogno di sapere la matematica. Basta applicare il principio di responsabilità. E invece così alla fine pagheranno (oltre il dovuto) solo i pesci piccoli. E Verona farà solo l’ennesima brutta figura.

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail