Nell’attesa del reddito di fallimento, anche Mattarella si iscrive al club di quelli che prendono in giro l’impresa

(di Bulldog) Il presidente della Repubblica Mattarella ha inviato un messaggio all’incontro “Made in Italy: the Restart” de Il Sole 24 Ore, per sottolineare il lavoro straordinario che le aziende stanno facendo per supportare lo sforzo del Paese e per non soccombere alla crisi. Che bello! Se perfino lui si affaccia dal terrazzo del Colle per riconoscere chi tira davvero la carretta in Italia (e da sempre, non solo da febbraio) siamo a buon punto, è fatta! Se anche la carica più alta ammette che dallo Stato imprese e professionisti finora hanno preso soprattutto schiaffi, stiamo entrando nell’era del merito e delle competenze.

E invece non succederà. Non adesso e non in Italia, non con queste politiche economiche, né con l’illusione che si possa fare tutto con i soldi dell’Europa, visto che non sembriamo capaci neanche di mettere assieme degli stracci di progetti per farceli dare. E quando Mattarella ritiene “decisiva per il nostro sistema-Paese” la ripartenza dell’industria dopo la pandemia, non vi sembra di sentire una litania di bestemmie in tutti i dialetti del Nord? Intendiamoci, imprenditori che lavorano, sudano, lottano e scalciano per competere e per sopravvivere ce ne sono in ogni regione, ma da qui – qui in Veneto, Emilia, Lombardia, Piemonte – il Quirinale non lo si vede neanche col telescopio.

Le parole spese per “l’eccellenza italiana, il Made in Italy di qualità che svolge un ruolo trainante per l’economia e il prestigio dell’Italia” sembrano sempre più vuota retorica e suonano ormai una presa in giro. E non perché lo dice Mattarella: che vengano da maggioranza o opposizione, dalle Camere o dal sottobosco della sottopolitica, sono comunque stonate come i rintocchi di una campana rotta. Ma nei palazzi sono consapevoli che le aziende si sono abituate non tanto a fare a meno dello Stato (da mo’), ma a fare impresa, a creare posti di lavoro, a generare valore “nonostante” lo Stato? Che ormai è considerato quasi un nemico, un sabotatore, un esattore del pizzo?

Prendiamo la pandemia. C’è il virus, restate chiusi. Va bene. Arrangiatevi per riaprire in sicurezza, ma fate da soli perché vi daremo solo indicazioni vaghe e contraddittorie. Ok, come previsto. Vi daremo degli aiuti, i contributi a fondo perduto, la sospensione delle imposte. E a Verona abbiamo pensato “see, alà, credeghe”. Infatti mai visti, o ne sono arrivati pochi e in ritardo. Poi vogliamo parlare della cig col contagocce? O del (sacrosanto) blocco dei licenziamenti? Ma senza misure a favore della ripresa, di assunzioni ce ne saranno mai? Quando leggi le dichiarazioni di buon senso del presidente (“è necessario un impegno convergente di istituzioni, imprese e parti sociali per un progetto di sviluppo”) come fai a non condividerle? Peccato che lì di fianco ci siano scritte le solite boutade fumose e inconcludenti di chi ci governa e di chi si oppone: il rilancio, la qualità, il benessere, la crescita… Ma chi progetterà tutto questo? Chi lo saprebbe fare, visti i risultati recenti? E soprattutto, chi lo vorrà fare, e chi si prenderà la responsabilità di proporre scelte drastiche e letali sul piano del consenso elettorale? La verità è che oggi quando la politica (qualunque!) promette riforme e sostegno, l’impresa non si fida più. Di nessuno.

La delusione che sale dalle botteghe artigiane, o dalle piccole aziende e dalle multinazionali, tra studi professionali e start up digitali è diventata rabbia. Se non diventerà un assalto al Palazzo d’Inverno è solamente perché gli italiani non credono più a niente, neanche a chi insiste che è ora dell’insurrezione. La furia si stempera in disinteresse e rassegnazione, nell’attesa che il Paese della cultura, della scienza e del design ottenga i sussidi per campare, un reddito di fallimento per l’ex seconda manifattura europea. Ma che bel risultato, invece di quella che poteva essere, presidente Mattarella, “un’occasione storica per il nostro sistema economico”. Non fate neanche più piangere. Fate ridere.

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