Non si arresta la moria dei Kiwi. Parte il tavolo nazionale richiesto da Allegri

(c.r.) Non si arresta il problema della moria dei Kiwi in provincia di Verona. Da Lazise a Valeggio , uno dei settori di punta del Made in Verona , sta attraversando una crisi senza precedenti.  La moria del kiwi è una patologia ancora poco conosciuta, ma che si sta diffondendo velocemente in tutta Italia. Il ministero ha lanciato una task force per trovare una soluzione. Primi casi di moria del kiwi si sono registrati in Veneto nel 2012. Negli ultimi anni questa patologia si è diffusa in altre regioni vocate alla coltivazione del kiwi, con danni economici enormi. Nella sola Regione Lazio in due anni sono scomparsi 2mila ettari di kiwi; la malattia sembra non volersi arrestare ed è per questo che gli agricoltori chiedono un intervento immediato per risolvere il problema.

Una prima risposta è arrivata dalla riunione del Comitato fitosanitario nazionale che si è svolta il 21 settembre scorso. In quella sede si è deciso di dare vita ad una task force, sulla falsariga di quella realizzata per l’emergenza cimice asiatica, per indagare le cause che portano le piante di actinidia alla morte. Ad oggi infatti sono stati realizzati solo alcuni studi a livello locale, senza un coordinamento nazionale. Faranno parte della task force le regioni maggiormente coinvolte (Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Lazio, Campania e Calabria) nonché il Crea come ente scientifico. L’obiettivo è quello di capire le cause che stanno dietro alla moria del kiwi e trovare una cura o dei metodi di prevenzione.
Il tema è così sentito che presso la Regione Lazio si è tenuta una audizione per fare il punto sulla situazione e valutare degli strumenti di sostegno economico alle aziende agricole colpite. “La malattia è stata riscontrata per la prima volta nel 2012 nel Veronese, nelle aree attorno a Bussolengo. Successivamente si è diffusa in Piemonte, Friuli, Emilia Romagna. E da un paio di anni si è affacciata in Piemonte, nel Lazio e nel Sud Italia” dice Giandomenico Allegri, nella foto, vicesindaco PD di Sommacampagna che molto si è speso sul tema.  

Sintomi sono differenti tra regione e regione? No, la sintomatologia sembra essere simile in tutte le regioni colpite”.

Qual è l’agente patogeno responsabile della moria del kiwi? “Per quanto riguarda l’eziologia siamo all’inizio degli studi. Si tratta probabilmente di una sindrome di origine complessa, che vede in azione diversi funghi e batteri anaerobi. Questa è una caratteristica importante in quanto è ormai assodato che esiste una correlazione tra l’insorgere della malattia e l’asfissia della rizosfera causata da precipitazioni atmosferiche abbondanti”.

Ci può spiegare meglio?
“Chi ha studiato questa sindrome ha constatato che la stessa si presenta in seguito ad abbondanti piogge che saturano il terreno di acqua, anche per molti giorni. In queste condizioni caratterizzate da assenza di ossigeno i batteri anaerobi responsabili della moria trovano le condizioni ideali per svilupparsi”.

I microrganismi responsabili della moria del kiwi sono autoctoni o sono stati ‘importati’ come ad esempio Halyomorpha halys, Erwinia amylovora e Drosophila suzukii, solo per citarne alcuni?
“I microrganismi che sono stati individuati come copartecipi della problematica sembra essere quelli naturalmente presenti nel suolo, non sono ‘alieni'”.

Come mai solo in Italia è presente la malattia e come mai è emersa solo di recente, visto che gli agenti patogeni sono presenti nel suolo da sempre? “Crediamo che il motivo sia da ricercare nei cambiamenti climatici e nella maggiore frequenza con cui si verificano fenomeni intensi. Le cosiddette ‘bombe d’acqua’ hanno la capacità di saturare il suolo d’acqua velocemente e per lungo tempo, realizzando le condizioni necessarie allo sviluppo dei batteri anaerobi”.

Esiste una soluzione a questo problema? “Prima di tutto dobbiamo capire esattamente quali sono i meccanismi e le condizioni che stanno alla base della malattia e solo successivamente potremo individuare dei rimedi. Quello che si potrà fare è mettere le piante nelle condizioni di non ammalarsi. L’elemento chiave è evitare che nella rizosfera si determinino le condizioni di assenza di ossigeno che favoriscono lo sviluppo dei batteri”.

Come si può fare? “Le prime indicazioni sembrano essere quelle della necessità di prestare estrema attenzione all’irrigazione, dando acqua solo se strettamente necessario e monitorando sempre l’umidità del terreno. Bisognerebbe rimanere sempre leggermente sotto la capacità di campo, aiutandosi magari con dei tensiometri. Bisogna in definitiva evitare l’eccessiva presenza di acqua nel suolo”.

Solo nel veronese si stimano in mille ettari gli actinidieti colpiti, praticamente un terzo di quelli presenti nella nostra provincia, con 400 aziende agricole coinvolte, mentre ci sono segnalazioni di nuovi focolai a macchia di leopardo fuori dalla zona colpita per prima a partire dal 2012. “Da subito – ricorda Allegri, ripercorrendo il lavoro fin qui fatto dal tavolo intercomunale – siamo partiti con un’opera di sensibilizzazione in Regione e al Ministero, dove la moria non era conosciuta e anzi in tanti la confondevano con la batteriosi dell’actinidia (Psa)“. Dice Allegri “Purtroppo in questi anni, quando il problema era solo veronese, c’è stata una forte sottovalutazione del problema da parte di Regione Veneto. E questa problematica che toglie ogni anno ai produttori veronesi ogni anno circa 50 milioni di fatturato (100 nella complessiva catena distributiva) non è stata affrontata con la dovuta tempestività e volontà di risoluzione. Da qui nasce il tentativo di portare il problema su un tavolo nazionale ma si deve rilevare il contrasto del Veneto con le iniziative messe in campo da Piemonte e Lazio al presentarsi di questa sindrome”.

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