Occupati e pensionati: così Verona potrebbe salvare il suo futuro. Se avesse capacità di governo

(b.g.) I dati resi noti ieri dalla Cgia di Mestre sul sorpasso dei pensionati sui lavoratori attivi aprono uno scenario da “ultima chiamata” sia per il governo nazionale che per quello regionale e locale. E’ evidente che alcuni trend di lungo periodo – lasciati andare vergognosamente nel dimenticatoio – quale il calo demografico vanno affrontati con immediatezza dal governo centrale spostando, se proprio sono a corto di idee, i soldi buttati in quota 100 e nel reddito di cittadinanza automaticamente nell’aiuto alle famiglie, premiando chi figli fa.

Il Veneto è una delle poche regioni , otto su venti, con saldo ancora attivo, con più lavoratori che pensionati, ma di sole 367mila unità, dietro a Lombardia e Lazio. Verona, dal canto suo, è in positivo per 80mila unità: soltanto Padova e Bolzano hanno un saldo attivo migliore nel Nordest che, di suo, registra un tasso positivo di 697mila unità, secondo alle spalle del Nordovest (più 736mila) e davanti al Centro (più 410mila) ed al Sud (meno 988mila). A parte le tradizionali irregolarità del dato del Mezzogiorno pesa sicuramente anche quello dell’abbandono delle città del Sud da parte delle nuove generazioni che salgono al Nord dove c’è più offerta di lavoro, cambiando la base numerica della ricerca.

Anche qui, è evidente che una politica di rilancio del Sud sarebbe cosa gradita, ma non dipende da noi.

Da noi, dalle politiche veronesi dipende il mantenimento del saldo attivo ed il suo miglioramento. Per crescere ancora – facendo leva sulle sue potenzialità “naturali” a tutti note e che quindi non ripetiamo – c’è bisogno di spingere su pochi, ma chiari capitoli: logistica, attrazione di nuove imprese; agevolazioni per lo sviluppo di start-up e imprese fatte da giovani e donne; potenziamento del turismo e della convegnistica; riqualificazione urbana; valorizzazione ulteriore del primario (settore che vede già Verona leader in Italia, ma si può fare ancora meglio).

Per questo servono capitali, spazi, idee. Possiamo dire che i primi non mancano in assoluto: l’Italia risparmia anche in tempi di pandemia, bisogna spostare i risparmi dei Veronesi dalla manomorta delle banche a strumenti più direttamente collegati alla crescita del territorio. Ci sono tantissime banche ed istituzioni finanziarie che possono aiutare a costruire strumenti di raccolta dedicati che potrebbero permettere ad un emittente qualificato di investire direttamente nell’economia reale senza mettere a rischio il risparmio dei nostri concittadini (per quello ci hanno già pensato istituti ben più vicini che hanno usato la leva del localismo per fare le peggio cose…).

Spazi: alzi la mano chi non ha idea di dove mettere le mani a Verona. Fuori dal gioco di parole c’è tutta Verona sud da rifare. Abbiamo stabilimenti ed imprese costruiti nell’immediato dopoguerra che meritano soltanto l’intervento di un grande caterpillar. La viabilità è indegna di una città civile, rendendo la logistica un gioco d’azzardo; le condizioni di sostenibilità ambientale sono ai limiti con, in non pochi casi, neppure l’allacciamento alla rete fognaria cittadina. Ci sono volumi da abbattere e ricostruire con una logica nuova e sostenibile. Ci sono migliaia di condomini che debbono essere riqualificati da un punto di vista energetico (ovvero, lavoro garantito per migliaia di professionisti ed operai per diversi anni) e – magari – in qualche caso del tutto abbattuti a favore di strutture nuove, più belle, più sane e meno impattanti.

Rifare la Zai vorrebbe dire creare spazi per le nuove imprese dando modo a donne e giovani di sperimentare e di provare a costruirsi il proprio futuro; la mano pubblica potrebbe aiutare e regolare questo processo. Non è una novità, è stato fatto in più parti del mondo e basterebbe mettere in rete le opportunità che ci sono a livello nazionale ed europeo. La logistica potrebbe integrarsi con la smart-city e il turismo potrebbe trovare una Verona più accogliente, bella, attiva ecc

Idee: subito il riacquisto del Catullo, perché Verona non può non controllare la sua porta d’accesso al mondo; secondo, un piano di riqualificazione energetica diffuso utilizzando le nuove leggi nazionali; terzo, una scelta chiara sull’identità di Verona al 2050 e decisioni conseguenti. Non c’è bisogno di fare un Toniolo-bis, coi soliti noti che non hanno prodotto nulla di nuovo negli ultimi trent’anni salvo blindare le proprie personalissime carriere: basterebbe una Giunta con un po’ più di attributi e relazioni vere nei posti che contano.

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