Per uscire dalla crisi Verona deve crescere sino a 400mila abitanti: accorpiamo l’hinterland e ripartiremo per davvero

(di Paolo Danieli) Verona è sempre stata importante per la sua posizione strategica di crocevia. Di qui lo sviluppo che ha determinato opportunità di lavoro, benessere e una buon qualità della vita.  Da qualche anno Verona s’è fermata. Rimane la prima città del Veneto per abitanti, ma ha perso importanza a causa della marginalizzazione che ha subito nella Regione, non tanto per la sua collocazione periferica, quanto per carenza di rappresentanza. Ma c’è qualcosa che si può fare per riportare Verona al ruolo di protagonista.

Nel 2014 la legge 56 ha istituito le “città metropolitane” – praticamente coincidono con le province – per razionalizzare lo sviluppo del territorio e la gestione integrata dei servizi e delle infrastrutture. Indubbi sono i vantaggi in termini di trasferimenti statali. Sono città metropolitane Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. La legge ha lasciato fuori Verona, anche se ha tutte le caratteristiche della città metropolitana al centro com’è di un’area densa di insediamenti umani e di strutture produttive, sicuramente più rilevanti di Reggio Calabria! 

Verona è la dodicesima d’Italia per numero di abitanti. Anche di più per importanza: non può essere una città di serie B!  Se la legge ci ha ignorato la Grande Verona ce la dobbiamo fare noi! Le condizioni ci sono tutte. Viviamo un momento di grandi cambiamenti, è quindi più facile modificare certe situazioni. Verona ha le carte in regola per porsi come area metropolitana. E’ il punto di riferimento naturale di un’area geopolitica -l'”area del Garda”-  costituita dai territori di Trento, Brescia e Mantova che, come noi, hanno problemi di marginalità nelle rispettive regioni. E’ questa la prospettiva di sviluppo più importante.

Verona per peso demografico ha la possibilità di attestarsi tra le prime città d’Italia. 

Fino al 1927 Parona, Quinzano, Avesa, Poiano, Montorio, S. Michele e S.Massimo erano comuni a sé, con il loro sindaco e la loro amministrazione. Il governo di allora per razionalizzare i servizi li accorpò a Verona. Quei piccoli comuni vennero sciolti e fu costituita quella che allora fu chiamata la “Grande Verona”, che è la Verona di adesso.   Eppure, per quei tempi, quelle che oggi sono delle frazioni erano luoghi ben più distanti dal centro di quanto non lo siano oggi Negrar, Pescantina, Grezzana, S.Martino B.A., S.Giovanni Lupatoto, Ca’ di David, Castel d’Azzano, Villafranca, Sona, Sommacampagna e Bussolengo.  

Se poco meno di un secolo fa la lungimiranza di chi ci governava realizzò la Grande Verona, a maggior ragione oggi che le distanze sono state annullate dal progresso,  bisogna passare ad una “fase due” della Grande Verona, creando una grande area metropolitana con l’accorpamento di tutti i comuni dell’hinterland veronese.

Basterebbe una proposta di modifica della legge 7 aprile 2014 n.56 aggiungendo la parola “Verona” dopo “Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria”. Ciò permetterebbe di razionalizzare le scelte urbanistiche e infrastrutturali del territorio veronese, rendendo migliore la vita dei cittadini. Significherebbe poter fare progetti per il futuro pensando più in grande. Significherebbe risparmiare un bel po’ di denaro eliminando delle amministrazioni comunali con annessi e connessi. Con una città di 410.000 abitanti, Verona diventerebbe la settima città d’Italia, dopo Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e Genova e potrebbe anche accedere ad una quota superiore di finanziamenti dello Stato con evidenti benefici per tutti. 

La modifica della legge sarebbe la via più breve. In alternativa si potrebbe lavorare, di concerto con il Comune capoluogo e la Provincia, ad una moral suasion degli amministratori della cintura veronese e dei suoi abitanti per realizzare “dal basso” la Grande Verona.

Certo ci saranno delle resistenze, come sempre accade quando ci sono dei cambiamenti, soprattutto da parte di coloro che potrebbero venir meno delle rendite di posizione. Ce ne rendiamo conto e sappiamo bene che bisognerà fare un grande lavoro per rimuovere questi ostacoli che sempre si frappongono fra la conservazione dell’esistente e le grandi innovazioni. Ma dobbiamo pensare in grande. Solo così sarà possibile consegnare ai nostri figli una Verona dove poter costruire il futuro e di cui andare orgogliosi. 

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