Recensione dell’ultimo concerto sinfonico della Fondazione Arena al Filarmonico.

(Di Gianni Schicchi) Ultimo appuntamento sinfonico della Fondazione Arena al Teatro Filarmonico con un invitante programma di sala che esulava (finalmente) dai soliti “abusati” titoli mozartiani o beethoveniani. Ne sono stati protagonisti il pianista di casa, Edoardo Maria Strabbioli, il coro areniano preparato da Ulisse Trabacchin e il giovane direttore torinese Filippo Cilluffo, alle prese con tre partiture russe del Novecento, di cui erano autori: Stravinsky, Skrjabin e Rimskij-Korsakov.

Il pubblico li ha applauditi con un certo entusiasmo, segno che se viene invogliato, anche con pagine non “consuetudinarie”, ma ricche di stimoli, alla fine risponde e con attenta partecipazione. E la pagina che lo ha incuriosito è stata sicuramente il Concerto in fa diesi minore per pianoforte, la prima composizione sinfonica di Alexander Skrjabin, che sembra prendere le mosse dalla parte iniziale del Secondo Concerto di Liszt, che poi non segue nel delineare la contrapposizione di due forze inconciliabili.

Nel pezzo non ci sono temi che si imprimono nella mente dell’ascoltatore e ciò si avverte come limite, specialmente nel secondo movimento, tema con quattro variazioni, la seconda delle quali abbandona il tono lirico. La musica è tuttavia liricamente calda e distesa, semplicemente incantevole. La parte del pianoforte presenta, soprattutto nel finale a modo di mazurca, tratti tremendi, ardui tecnicamente che richiedono la presenza di un virtuoso.

Qui un sorprendente Edoardo Maria Strabbioli ha mostrato di sapere gettare ampiamente il cuore oltre l’ostacolo, affidandosi alla vibratile flessibilità del tempo in cui il pianoforte può fare cose che all’orchestra sono precluse. L’impegno e la serietà sono stati ammirevoli anche per quanto concerne la precisione tecnico virtuosistica, mai fini a se stessi, come l’appropriata adozione dei tempi e la morbidezza del tocco che hanno condotto ad una rimarchevole espressione. Grande mezz’ora di musica la sua, che ha scatenato i calorosi applausi del pubblico, ripagato da un bis.

Sugli scudi è finito anche il coro areniano impegnato nella Sinfonia dei Salmi di Stravinsky, dove la religiosità cattolica è vista come garanzia di un sofferto ordine, di costrizione come atto volontaristico, che realizza esemplarmente gli obiettivi, facendo pesare la forza di un’affermazione stilistica, perentoria. Coro bene intonato nell’Alleluia cantato in un clima assorto, di suggestiva fissità accordale. L’impasto orchestrale e corale deve la sua singolarità al fatto che mancano i violini e le viole fra gli archi e i clarinetti in quella dei legni.

A chiudere il pomeriggio la Suite dal Gallo d’oro di Rimskij-Korsakov, eseguito per la prima volta al Filarmonico, in cui la tavolozza lussureggiante del compositore russo ha diverse possibilità per affermarsi. Nel corso della vicenda fiabesca (da un racconto di Puskin) un gallo d’oro preannunzia, col suo canto insistente, le sciagure imminenti che colpiranno il re. È un canto stilizzato esposto per tutta la Suite, a guisa di motivo conduttore, dalle trombe tappate. Un altro motivo ricorrente si basa su un disegno cromatico tortuoso e serpeggiante, com’è la figura del sovrano rappresentato nella fiaba. Orchestra areniana molto concentrata sul brano sotto la direzione di Filippo Cilluffo: una giovane bacchetta dalle idee molto chiare.

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