Si potrebbe fare una nuova “city” al posto della Fiera. E ci basterebbe soltanto un po’ di classe dirigente

(di Bulldog) Il traffico nel caos di Fieracavalli sarebbe l’utile pretesto per una classe dirigente degna di questo nome per affrontare con pragmatismo e decisionismo il tema strategico del futuro della Fiera di Verona che sta dimostrando coi fatti di non essere un “motore immobile”, ma ancora un incredibile volano attrattore di pubblico e business. E lo potrebbe diventare ancor più se riuscisse a realizzare un vero museo del vino all’altezza del ruolo italiano di superpotenza del vino.

Certamente, non è più accettabile che mezza città venga bloccata quando c’è una manifestazione che funziona. I residenti hanno diritto a vivere al meglio e i nostri ospiti hanno l’analogo diritto di raggiungere la Fiera in tempi celeri, coccolati da mille servizi, senza intoppi, senza stress. Il problema è chiaro a tutti: la Fiera è cresciuta nel dopoguerra in un vecchio campo militare che nel 1940 era “oltre” la periferia di Verona, oggi è praticamente centro storico. E lo sarà ancora di più col central park e con la definitiva riqualificazione di quella vasta area che va dalla manifattura tabacchi alla fabbrica del ghiaccio sino all’Esselunga oltre le gallerie mercatali. Un’area che, una volta fatta scomparire la viabilità di superficie, potrebbe essere una “seconda Bra” in grado di accogliere una nuova “vita pubblica”.

Di conseguenza, bisogna ridisegnare quel pezzo di Verona che oggi è soffocata. Non c’è più il polo finanziario, ma è nata comunque una piazza degli affari potenzialmente molto bella ed attrattiva. Una city che potrebbe riprendere la trasformazione di Porta Garibaldi a Milano, un vero moltiplicatore di valore e di opportunità per una città che, in teoria, aspira ad un ruolo nazionale e che non può “vendere” soltanto Piazza Bra, l’Arena, Piazza Erbe e il balcone di Giulietta (anche perchè prima o poi capiranno che li stiamo prendendo per i fondelli…).

Ne consegue, se siamo d’accordo sin qui, che la Fiera andrebbe spostata a sud, oltre l’autostrada, potenziata nei suoi servizi, con accesso diretto e veloce dalla A4, con tutto il meglio che si può offrire nel terzo millennio ad espositori ed ospiti. Il suo sedime attuale potrebbe essere riqualificato in linea con quanto già si sta facendo: verde e nuova architettura di qualità. Un’operazione win-win (dove tutti ci guadagnano, detta più chiaramente) e che permetterebbe di sistemare un paio di quartieri, l’accesso al centro storico, in una cornice di assoluto fascino. Dopo Milano, Verona sarebbe protagonista di una recovery di assoluto valore. Ma per fare questo bisogna che l’azionista principale di VeronaFiere, il Comune, chieda un piano alla Fiera su tempi e costi di realizzazione di un nuovo polo; passi all’incasso dai suoi amici della Fondazione CariVerona oppure chieda il denaro ad investitori qualificati ed anche ai risparmiatori, prenda un volo per Bruxelles e coinvolga la Commissione Europea dopo aver preso un intercity per Roma ed aver preso appuntamento a Chigi. Ci vorrà qualche miliardo. Ce ne sono dormienti nelle banche italiane più di 5mila…

Tutte cose non impossibili per una città che ambisce ad un ruolo di capitale, che guarda al futuro con fiducia e non alle marchette elettorali. Una bella sfida per una nuova classe dirigente e non digerente. E qui casca il palco…la classe dirigente, chi era costei?

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