Stefano Inama rilancia due vitigni abbandonati: carmenere e raboso veronese

Due vitigni praticamente abbandonati: il carmenere, un vecchio bordolese importato nel Veneto di fine Ottocento dagli immigrati che rientravano dai lavori stagionali in Francia, e il raboso veronese, un incrocio che [//]trova origine, a metà dell’Ottocento, dall’unione del vitigno trevigiano raboso col marzemino bianco. Del secondo, poche tracce. Del primo, per decenni scambiato per cabernet franc, anche nell’originaria Francia si parla di un lento ma inarrestabile declino. Due sfide impossibili che Stefano Imana, classe 1959, viticoltore di San Bonifacio, uno dei protagonisti della rinascita del Soave (suoi alcuni dei cru più interessanti sul Monte Foscarino), ha deciso di provare a vincere. Sui Colli Berici, prossima frontiera della viticoltura di qualità del Veneto, Inama ha acquistato pochi anni fa un po’ di ettari, decidendo di reimpiantare il carmenere. Di fatto, oggi Inama rappresenta la coltivazione più estesa di questo vitigno in Europa, altrimenti ben più coltivato in Sud America. Nel 2005 la prima vendemmia. «Un’annata difficile – spiega Stefano Imana a L’Adige – sostanzialmente “corta”, che non lasciava presagire nulla di significativo». Invece dal lavoro in vigna e dall’attenta vinificazione, è uscito “Carmenere Più…”, taglio bordolese realizzato al 60% di carmenere con l’aggiunta di un 30% di merlot e un 10% di raboso veronese (qui impiegato come un petit verdot). Una produzione iniziale di 40mila bottiglie che ha stupito il mercato. Questo nuovo rosso berico-veronese, stupisce infatti per le sue caratteristiche. Di corpo, con grandi profumi di bacche scure, cacao e pepe nero, al palato è di grande equilibrio, fruttato, con tannini non invadenti e una nota tostata sul finale di grande gradevolezza. Un vino che deve affiancarsi ad altri due “grandi rossi” di Inama – Oracolo e Bradisismo, ai vertici internazionali, avendo battuto in degustazioni cieche anche colossi supertuscan come Sassiccaia e Ornellaia, ma anche il blasonatissimo Opus One franco-statunitense – e che riesce nella missione impossibile di non sfigurare. Anzi. Dimostra subito una sua precisa personalità, e un’irriverente assenza di complessi di “inferorità” verso i fratelli “maggiori”. Un vino che mette sotto tanti toscani e bordolesi “d’appellation” e che viene proposto ad un prezzo franco cantina assolutamente competitivo. Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail