Un politico vincente pro-life, intransigente coi comunisti e il mainstream? Reazione Identitaria “studia” Ronald Reagan

Chi sta nel Pantheon della destra identitaria, patriota e sovranista? la domanda – usata come un manganello dalla sinistra radical-chic dei salotti che ama sottolineare un presunto vuoto culturale a destra – rischia di dividere più che unire le forze conservatrici italiane. Perchè se da un lato indubbiamente ci sono gli intellettuali che dal Piave a Coltano passando per Fiume custodirono la rivoluzione del Ventennio, dall’altro ci sono altri riferimenti ideologici. Che su centralità dello Stato, religione, primato dei diritti individuali, ruolo pubblico nell’economia la pensano proprio in maniera differente. Eppure a quel Pantheon bisogna metterci mano quanto meno per cercare di creare un minimo comune denominatore. “Reazione Identitaria” – il think tank promosso da Lorenzo Fontana, vicesegretario federale della Lega e Vito Comencini, parlamentare sempre della Lega – ci ha provato partendo dall’uomo che ha posto la pietra tombale sulla guerra fredda e sul primato comunista nelle menti dei rivoluzionari (veri e presunti, più i secondi dei primo) di mezzo mondo: il 40.mo presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan. «Attenzione, il comunismo non è morto – sottolinea Fontana – se prima voleva imporci una dottrina, oggi con altri codici vuole annichilire l’Occidente distruggendo le sue radici, i suoi valori, e lo fa cercando di scardinarne gli elementi-base come la famiglia e la libertà di pensiero e di parola».

Per capire la modernità di Ronald Reagan, il primo politico a dichiararsi pro-life e a denunciare i rischi ed i limiti di una legislazione abortista, Reazione Identitaria ha chiamato Gennaro Sangiuliano, direttore del TG2, che a febbraio ha dato alle stampe per Mondadori una biografia molto ricca del “ragazzo della main street” che, partito povero in canna in un minuscolo paesino dell’Illinois, Tampico, riuscì a studiare grazie alle borse di studio come atleta, a diventare prima cronista sportivo, poi attore a Hollywood di B-movie, capo del sindacato degli attori contro le majors, governatore della California negli anni della contestazione a Berkeley (non a caso, fu l’unico politico statunitense attaccato a Woodstock…) per dare poi la scalata al partito Repubblicano e a mandare a casa Jimmy Carter. «Ho scritto di Reagan perchè quando ero giovane i riferimenti culturali era tutti obbligatoriamente diversi e la sua elezione fu il segno che un cambiamento era possibile. Mi affascinò molto un editoriale di Indro Montanelli che si schierò a suo favore e l’azione di Giovanni Spadolini che ne era un ammiratore. Quest’anno, poi, ricorrono i quarant’anni del suo insediamento e Reagan resta una figura che ha saputo far uscire l’Occidente dalla crisi economica degli Anni Settanta e che ha vinto la sfida col comunismo».

Per chi non c’era, Ronald Reagan entrò alla Casa Bianca circondato dallo scetticismo generale: ferocemente conservatore, molto rigido sulle libertà sessuali, attaccò a muso duro i lacci imposti dal sindacato all’economia statunitense e con le “reaganomics” costruì le basi per il rilancio americano che fece da traino ad un decennio di crescita per tutti i Paesi, Italia in testa che conobbe l’ultimo, vero, boom espansivo. Per la sinistra era poco più di un cow-boy, dai ragionamenti elementari e con scarsa base culturale. Invece, “il vecchio” come lo pigliavano in giro i notisti politici di Washington non ne sbagliò una: costrinse l’Unione Sovietica a mostrare il suo bluff. Sostenne la resistenza afghana, costringendo Mosca – l’Impero del male, come la definì – al ritiro da Kabul; fermò l’espansionismo cubano in Centro-America usando lecito ed illecito e ridando fiducia al suo esercito con l’invasione di Grenada, sfidò Gorbaciov a Berlino (“Butti giù questo muro, mr Gorbacev”), ma fu aperto e leale nel negoziato sul disarmo (pure troppo, dopo una notte passata a discutere davanti al caminetto dai due leader, gli sherpa sovietici e americani dovettero, disperati, riscrivere tutto da capo: i due praticamente avevano messo in mutande entrambe le nazioni…) che liberò l’Europa e le permise di progettare un nuovo futuro. Con l’Italia ebbe un rapporto ambivalente: fu entusiasta (dopo una tremenda incazzatura iniziale) quando liberammo il generale Dozier, ma non perdonò mai Craxi per lo sgarro di Sigonella che gli impedì di fare giustizia degli assassini palestinesi di Leon Klinghoffer.

Ci sono due foto, prese a distanza di vent’anni a Berlino: JFK che fa di Berlino il cuore dell’Occidente e Reagan alla porta di Brandeburgo…«Solo che Kennedy fece immaginare il suo sogno – rimarca Sangiuliano – mentre Reagan il suo sogno l’ha realizzato: ha sconfitto inflazione e disoccupazione in patria e l’Urss nel resto del mondo. E la sua politica ha trovato eredi in Bush padre che gli successe, in Bill Clinton che mantenne la sua visione in economia, e in Bush junior. Quell’onda positiva condizionò la crescita globale per almeno un ventennio che ancora ricordiamo come un’era dorata. In Italia ci provò Berlusconi a seguire le sue orme, con una rivoluzione liberale che però è mancata alla fine. Ma nonostante la società sia profondamente cambiata, alcuni suoi principi restano validi. Sull’eccessivo peso della tassazione che può deprimere l’economia, ad esempio. E questa potrebbe essere la base per una ripresa del suo pensiero. Oggi persino il presidente Joe Biden indica Reagan come esempio di guida vincente per la rinascita della società ».

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