Fino al prossimo 3 maggio, gli Scavi Scaligeri, lo spazio espositivo del Centro Internazionale di Fotografia di Verona, ospita le opere di un artista molto particolare. Forte di 136 foto, tutte rigorosamente in bianco e nero e di grande formato, la mostra “Perdersi a guardare/Trenta anni di fotografia in Italia”, a cura di Alessandra Mauro, testimonia un insolito “grand tour” per la Penisola fatto di immagini [//]che, partendo da naturalistiche realtà sulle quali l’autore agisce per sottrazione di parti e particolari, si ammantano di atmosfere oniriche e fuori dal tempo, trasformandosi in visioni surreali.

L’autore è Mimmo Jodice, uno dei grandi nomi della storia della fotografia italiana. Nato a Napoli nel 1934, dove tuttora vive e dove dal 1970 al 1994 è stato docente di Fotografia all’Accademia di Belle Arti, iniziò la carriera di fotografo come esponente di punta dell’avanguardia negli anni ’60. Attento alla sperimentazione e alle possibilità espressive del linguaggio fotografico, non si è mai convertito al colore, non ponendo così limiti all’immaginazione dello spettatore e al fascino misterioso dell’immagine non completamente esplicitata. Il soggetto è osservato a lungo, come evidenzia il titolo della mostra, assaporato nella vibrazione emozionale che trasmette, e successivamente, con maestria tecnica, estrapolato da quanto nel contesto è pleonastico o potrebbe deviare o disperdere l’incisività comunicativa principale.

La mostra racconta così un’Italia reale e sognata ad un tempo e, parallelamente, un trentennio di vita e di lavoro di un artista. Dalle Alpi alla Sicilia, Jodioce ha fotografato tutta l’Italia, in lungo e in largo – scorci nascosti, monumenti celebri, coste ed entroterra; paesaggi urbani e campagne, palazzi e fabbriche dismesse – ma il reale si carica sempre di magia. E’ il caso, tra i molti, della “Scuola di Virgilio” di Pompei (1982), o del ”Lago Fusaro” ai Campi Flegrei (1990), o di una veduta di “Stromboli” (1999). Ma c’è anche un gusto tutto moderno per la “serialità”. Come la sorprendente visione degli stalli di Ravenna (1989), o quella di uno scorcio di “Palazzo Farnese” a Roma (2006). Tutto sempre avvolto dal silenzio, dove generalmente la presenza umana, peraltro poco invasiva, si avverte per lo più mediatamente, attraverso la presenza dei suoi simboli più moderni. A partire dai mezzi di trasporto, futuristicamente inneggiando alla velocità (“Accademia Albertina” di Torino, 2005; “Sopraelevata” di Genova, 2000); o dalle testimonianze nefaste di un nobile passato in abbandono in nome di una non meno trascurata modernità (“Piazza Mercato” di Napoli, 1982). C’è poi l’archeologia dei tempi antichi (“Antro della Sibilla”, Cuma, 1985) e quella urbana di tempi più recenti (“Real Albergo dei poveri” di Napoli, 1997; “Area industriale” di Marghera, 1996); oltre a quella museale, inaspettatamente innervata di vita (“Apollo” di Baia, 1993). Frutto di un gioco tecnologicamente sofisticato e fantasiosamente creativo, suggerito da emozioni reali, intense e sottili, per osservatori dalla sensibilità affinata, ma anche spettacolarmente fruibili da tutti.

di Franca Barbuggiani

“Perdersi a guardare” Centro Internazionale di Fotografia “Scavi Scaligeri” – Verona

Orari: dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 19.00

iglietti: 5.00, 3.00, 1.00 € Visite guidate (comprese nel prezzo del biglietto): domenica ore 11.00

Catalogo “Perdersi a guardare” edito da Contrasto Info: www.comune.verona.it

Fino al 3 maggio