Tutto esaurito ieri sera, 25 aprile, presso alla libreria Il Minotauro per la presentazione del libro di Angelo Paratico Un Re e il suo burattino. Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini pubblicato dalla Gingko Edizioni di Verona. Relatori l’autore stesso e il prof. Giovanni Perez.
La data del 25 aprile 1945 è assai significativa, a detta dell’autore, in quanto segna l’incontro fra le truppe sovietiche e quelle americane sul ponte di Torgau, sul fiume Elba, in Sassonia. Un segno che la pace era vicina ma anche che l’Europa era morta.
Si è voluto sottolineare che l’originalità di quest’opera sta tutta nel tentativo di una revisione critica, basata su diari e sui resoconti di personaggi secondari del ventennio, che offrono testimonianza dei cordiali rapporti intercorsi fra il Re e il duce del fascismo. Infatti, il Re e Mussolini s’incontrarono per molti anni per due volte alla settimana, per un paio d’ore e durante quelle riunioni venivano messe sul tavolo tutte le questioni correnti, sia interne che internazionali. Un fatto spesso dimenticato è che senza la firma del Re, Mussolini non aveva alcun potere. Si trattava di una situazione simile a quella di altri primi ministri italiani, come Cavour, Giolitti e Crispi.

Il primo capitolo di questo libro tratta dell’imperatore del Giappone, Hirohito, che si trovò in una situazione simile a quella di Vittorio Emanuele III, e che se la cavò scaricando le proprie gravissime responsabilità sui generali che lo attorniavano. La narrazione diffusa in Giappone era sempre stata che Hirohito fosse controllato da una cosca di militari e che in realtà egli non avesse alcun potere. Questa narrazione è crollata nell’anno 2000 con l’uscita del libro di Herbert Bix Hirohito and the making of modern Japan che vinse il premio Pulitzer. Bix, consultando diari di personaggi secondari del regime, scoprì che in effetti l’imperatore era a capo di tutte le operazioni belliche giapponesi, né più né meno di Hitler in Germania.
Il re. L’italiano più nefasto del 20° secolo
Pur trincerandosi dietro a dei tecnicismi costituzionali, Vittorio Emanuele III fu l’italiano più nefasto del XX secolo. Gran parte delle sciagure italiane furono determinate dal piccolo monarca sabaudo, moinorato nel fisico e nella mente, e lo si sarebbe dovuto processare al termine della II Guerra mondiale, come voleva fare il generale britannico Noel MacFarlan ma Winston Churchill pose il veto.
L’entrata in guerra dell’Italia, il 24 maggio 1915, diversamente da quanto si crede, non fu inevitabile ma organizzata da Vittorio Emanuele III, in barba al Parlamento e alla volontà del popolo, in seguito alla firma segreta del Trattato di Londra, che i bolscevichi resero pubblico solo nel 1917. Pur di entrare in quel conflitto il Re non ebbe timore di scavalcare le proprie prerogative costituzionali, la stessa cosa farà anche il 28 ottobre 1922, il 10 giugno 1940, il 25 luglio 1943 e l’8 settembre 1943.
Dunque, perché il Re scelse un ex estremista di sinistra, come Mussolini, come Primo Ministro? Paratico lo spiega così: “Alla fine della guerra l’ala massimalista della sinistra occupò le fabbriche, bloccando il Paese e appropriandosi dei mezzi di produzione. Per proteggere lo status quo intervennero i reduci dalla Grande Guerra, che un socialista radicale, formatosi sui testi di Georges Sorel, di Gustave Le Bon e di Karl Marx, unì e poi usò. Quell’uomo si chiamava Benito Mussolini e il Re, che lo ammirava, pur trovandolo incolto e rozzo, si convinse che fosse lui l’uomo di cui aveva bisogno per mantenersi sul trono, una sorta di generale Diaz fosforescente”.
Nel testo troviamo anche varie curiosità, fin qui poco note, sulla personalità del Re, che mostrano quanto profonda sia l’ombra nella quale sta immerso. Per esempio, quasi certamente, pensava in inglese e poi traduceva in piemontese e in italiano. Questo perché, sino ai dodici anni, la sua governante fu una vedova irlandese, Elizabeth Lee, nota come Bessie.
Si racconta che, dopo la Marcia su Roma, quando Mussolini incontrò il Re gli disse: “Maestà, vi porto l’Italia di Vittorio Veneto”. In realtà tale frase non sarebbe mai stata pronunciata, e dev’essere parte della leggenda fascista costruita a posteriori, questo ce lo dice Giacomo Acerbo che fu presente all’incontro. Non è vero neppure che Armando Diaz il 28 ottobre 1922 disse che l’esercito era fedele ma era meglio non metterlo alla prova, questo lo nega lo stesso Re, dicendo che non si consultò con nessun generale. Ma è certamente vero che si consultò con la sua fascistissima madre, la regina Margherita.
L’autore ha concluso dicendo che: “La situazione italiana fu molto simile a quella giapponese e desta stupore il fatto che due generazioni di storici non se ne siano ancora accorti”.
Oggi pensiamo che questo libretto cambierà la storia e indurrà molti storici a una revisione critica della figura di Vittorio Emanuele III e della diarchia con il fascismo.