(di Angelo Paratico) La stampa mondiale sta rilanciando la notizia che Vladimir Putin stia riportando Stalin fuori dalle soffitte. Fa erigere statue, e ha annunciato che l’aeroporto Gumrak di Volgograd verrà rinominato Stalingrado. Non solo questo, ma ha aggiunto che non sarebbe contrario a fare la stessa cosa anche per l‘intera città, perché come ha detto il governatore della regione Andrei Bocharov, molti residenti sentono il bisogno di un nome «vero, orgoglioso, coraggioso, eroico» come quello di Stalin, che fu il vero vincitore della Seconda guerra mondiale, conclusasi ottant’anni fa.
Eppure da molti anni la popolarità del presidente russo Vladimir Putin in Russia è dovuta al fatto che vien percepito come un continuatore delle politiche di Stalin. Questa revisione storica di Stalin è in atto già da alcuni anni e questa apparente bizzarria ha un suo fondamento storico, ed è questo è il leit motiv di un libro scritto dal sovranista neozelandese Kerry Bolton, intitolato “Stalin. Il Napoleone Russo” pubblicato tre anni fa alla Gingko Edizioni di Verona.
La definizione di Napoleone russo, come termine di disprezzo, fu dovuta al suo arci-nemico Leon Trotzskij. Come Napoleone aveva dato un termine alla rivoluzione giacobina, alla quale i bolscevichi si rifacevano, così Stalin aveva terminato l’espansionismo rivoluzionario russo e aveva frustrato tutti i tentativi americani di creare un governo globale, dopo la II Guerra Mondiale. Stalin e il suo ideologo e presunto successore, morto nel 1948, Andrei Zhdanov – suo figlio sposò la figlia di Stalin, Svetlana – puntavano invece alle antiche radici russe, al folklore contadino e all’arte popolare.

Trotskij era legato alla grande finanza internazionale, e divenne bolscevico solo nel 1917. Fu rimandato in Russia dagli inglesi ed è certo che promise loro che non avrebbe mai firmato una pace separata con i tedeschi, al contrario di Lenin. Inoltre, Trotskij avrebbe voluto concludere contratti con varie entità occidentali, come racconta Armand Hammer nelle sue memorie e che lo conobbe bene, anche grazie al supporto finanziario che suo padre gli aveva offerto a New York.
Il potere di veto concesso ad alcune nazioni forti all’Onu fu imposto da Stalin e di fatto fece naufragare il progetto globalista degli Stati Uniti che puntavano su quella organizzazione sovranazionale: essi infatti erano a favore del suffragio universale fra gli stati membri, ma i sovietici intuirono che questo li avrebbe resi i signori del mondo: con il potere del loro denaro avrebbero certamente convinto molti piccoli stati a votare a favore delle loro mozioni.
Una revisione della figura di Stalin
Un ulteriore punto di attrito fu il “nyet” sovietico al Piano Baruch per la non proliferazione nucleare. Questo sarebbe stata una gran cosa per la pace nel mondo, se non fosse stato per un piccolo dettaglio: l’unico Paese al mondo con la bomba atomica dovevano restare uno soltanto: gli Stati Uniti, che avrebbero agito da sentinella sul resto del pianeta. Di fronte al rifiuto della Russia, si scatenò la stampa occidentale e pure il sedicente pacifista Bertrand Russell suggerì l’uso delle armi contro ai russi, per renderli più malleabili. A partire da questi due nyet, la stampa mondiale smise di rappresentare Stalin come il simpatico ‘zio Joe’ e lì iniziò la Guerra Fredda, che si svolse a molti livelli, anche a un livello artistico con il supporto dato dalla CIA all’arte astratta e quello sovietico per la loro arte eroica e a tutti comprensibile.
Non appena ebbe il potere per farlo, Stalin cancellò molte delle riforme considerate “progressiste” dai bolscevichi: proibì l’aborto; cancellò le scuole autogestite dove i professori erano ostaggi degli studenti; rafforzò la famiglia patriarcale e concesse medaglie per le madri più prolifiche; promosse l’industrializzazione del Paese, mentre i bolscevichi la volevano riportare ai tempi dell’età della pietra, nello stile di Mao, durante la Rivoluzione Culturale, e di Pol Pot, in Cambogia.
I processi di Mosca che hanno eliminato i trotskisti e i veterani bolscevichi sono stati le manifestazioni più evidenti della lotta di Stalin contro al marxismo alieno. Mentre molto è stato scritto a condanna dei processi di Mosca, come se fossero stati una versione moderna dei processi alle streghe di Salem, non esistono dubbi che i trotskisti, in alleanza con altri vecchi bolscevichi, come Zinoviev e Kameneff, siano stati complici nel tentativo di rovesciare lo stato sovietico sotto a Stalin. Un’attenta analisi di tali purghe rivela che non ci furono torture o costrizioni, e che le accuse di collusione con alcuni servizi segreti stranieri, al fine di sovvertire lo Stato, erano certamente fondate.
Un fatto al quale pochi hanno pensato fin qui ma che viene ampiamente discusso nel libro di Bolton è che i seguaci di Trotskij negli Stati Uniti, e ne ebbe molti, divennero i più radicali “guerrieri della guerra fredda” nell’apparato americano. Tanto odiavano la Russia di Stalin da approvare la guerra in Vietnam e i più longevi si spinsero ad approvare l’invasione dell’Iraq. I loro nomi sono ben noti agli esperti di politica estera statunitense della fine del secolo scorso: Max Shachtman, Sydney Hook, John Chamberlain e tanti altri, con un passato da socialisti trotzkisti, che sposarono in pieno la tesi di Trotskij e di sua moglie, Anna Sedova, secondo cui Stalin aveva distrutto la rivoluzione bolscevica, che si sarebbe dovuta esportare in tutto il mondo. Secondo loro, l’unico Paese rivoluzionario al mondo erano gli Stati Uniti e andavano aiutati con ogni mezzo per…distruggere l’Unione Sovietica.
