(di Angelo Paratico) Gli odiatori di Trump sono scatenati in televisione e sui giornali, anche per quanto riguarda le sue scelte economiche. Tanti pseudo-economisti da salotto annunciano che il suo modello economico è già in crisi e che gli americani si son pentiti di averlo votato; dunque, temono che questo avrà un effetto domino su tutte le economie del pianeta.
Eppure, economisti che non hanno interessi nascosti o fette di salame sugli occhi hanno già spiegato che la piccola contrazione del Pil pari allo 0,07% rispetto al trimestre precedente ossia un 0,3% annualizzato, tutto sommato, è un segno che la sua cura funziona.

Secondo l’ultima stima preliminare del Bureau of Economic Analysis (BEA) pubblicata il 30 aprile 2025, il Pil reale degli Stati Uniti (che quindi non tiene conto dell’inflazione perché calcolato in dollari rispetto al 2017) nel 1° trimestre 2025 (gennaio-marzo), è stato pari a 23.526,1 miliardi di dollari. Nel 4° trimestre 2024 (ottobre-dicembre), il Pil reale era stato invece di 23.542,3 miliardi di dollari. Rispetto al 3° trimestre, una crescita annualizzata del 2,4%. La variazione congiunturale tra l’ultimo quarto del 2024 ed il primo del 2025 è quindi di -16,3 miliardi di dollari, equivalente, appunto, a una riduzione trimestrale di circa lo 0,07%.
I numeri smentiscono gli odiatori di Trump
Confrontando il Pil reale del primo trimestre 2025 con quello del primo trimestre 2024, pari a 23.053,5 miliardi di dollari, si registra una variazione tendenziale positiva del 2,05%, corrispondente a un incremento di 472,6 miliardi di dollari. Questo indica che, nonostante il rallentamento, l’economia Usa ha mantenuto una crescita su base annua. Questa misura è già significativa.
Ma è importante vedere come si è generata la perdita di reddito nel primo trimestre. La contrazione congiunturale del Pil reale nel primo trimestre di quest’anno è stata trainata principalmente da un aumento eccezionale delle importazioni, che nel calcolo del Pil sono sottratte cioè conteggiate con il segno meno.
Secondo i dati BEA, che cura le statistiche economiche, le importazioni sono cresciute a un tasso annualizzato del 41,3%, contribuendo a sottrarre -5,03 punti percentuali alla crescita del PIL. In valore assoluto, le importazioni sono passate da 3.052,7 miliardi di dollari nel quarto trimestre 2024 a 3.374,3 miliardi di dollari nel primo trimestre 2025. Un incremento di 321,6 miliardi di dollari. Questo aumento è stato guidato da beni di consumo (esclusi alimentari e automotive) e beni capitali, come computer e componenti. Al contrario, la spesa pubblica ha avuto un impatto negativo più contenuto, con una contrazione del -1,4% che ha sottratto -0,25 punti percentuali al PIL, equivalente a una riduzione di 51,8 miliardi di dollari (da 3.701,8 miliardi a 3.650 miliardi). Questo lo si trova sul Bureau of Economic Analysis, “Gross Domestic Product, 1st Quarter 2025 (Advance Estimate)”, 30 aprile 2025, Tabella 3.
Dunque, l’impennata delle importazioni è quasi certamente attribuibile alla paura di nuovi dazi annunciati dall’amministrazione Trump. Dazi che sono stati infatti annunciati l’8 aprile 2025 per poi essere a più riprese ritrattati. Gli importatori hanno cioè anticipato gli acquisti per evitare i costi aggiuntivi dei dazi, accumulando scorte in eccesso. Comportamento coerente con quello che in economia si chiama “teoria delle aspettative razionali”.
Qui sono stati in tanti a prevedere la decisione, dato che l’aveva annunciata in campagna elettorale, ed i numeri sono quelli appena visti. E poiché le importazioni sono conteggiate con segno negativo nella formula del PIL (Consumi + Investimenti + Consumi della pubblica amministrazione + Esportazioni – Importazioni), questo fenomeno ha amplificato la contrazione congiunturale. In valore assoluto, l’aumento delle importazioni (321,6 miliardi) è stato circa 6 volte superiore alla riduzione della spesa pubblica (51,8 miliardi), evidenziando il ruolo preponderante delle importazioni nel determinare il dato leggermente negativo.
Ma quello che gli anti-trumpiani in servizio permanente effettivo trascurano, sono le prossime prospettive di rimbalzo. Queste importazioni “hanno fatto magazzino”. Questo suggerisce un potenziale rimbalzo del Pil nel secondo trimestre. Le politica commerciale trumpiana sarà molto meno rivoluzionaria di quanto prospettato ad aprile. Trump sarà più cauto. Ma al netto di ciò, il magazzino si sgonfierà. Le importazioni dovrebbero diminuire, riducendo il loro impatto negativo sul Pil. Inoltre, l’aumento delle scorte private (+2,25 punti percentuali di contributo al Pil, pari a 131,3 miliardi di dollari) indica che i magazzini sono stati riempiti, limitando la necessità di ulteriori importazioni nel breve termine. Insomma, ci sarà un fenomeno specularmente contrario a quello registrato nel primo trimestre.
In valore assoluto, gli investimenti sono passati da 4.315,1 miliardi di dollari nel quarto trimestre 2024 a 4.533,7 miliardi di dollari nel primo trimestre 2025, con un incremento di 218,6 miliardi di dollari. Se questo sia l’effetto della reindustrializzazione americana con il rientro di parte della manifattura delocalizzata in patria è presto per dirlo. Di sicuro è un segnale di fiducia nelle prospettive dell’economia. I privati non investono se non intravedono prospettive. Questo non vuol dire che non si sbaglino. Tutt’altro. Ma i segnali della crisi, al momento, non ci sono proprio. Sta di fatto che le poche manifatture che hanno resistito al tentativo di portare le produzioni all’estero ora sono piene di ordini e disperate per trovare e personale da impiegare.