(di Angelo Paratico) La Libia fu occupata dall’Italia nel 1912, strappandola all’impero turco. La guerra venne attuata in maniera rapida ed efficiente e fu in quell’occasione che, per la prima volta, la giovane aviazione italiana inventò il bombardamento dall’aria.

Dopo la sconfitta dell’Italia e la fine della 2ª guerra mondiale, la Libia passò sotto il controllo della Gran Bretagna (Cirenaica e Tripolitania) e della Francia (Fezzan). Il 24 dicembre 1951, in applicazione a una risoluzione dell’ONU, fu proclamata l’indipendenza della Libia sotto alla sovranità di re Idris. Con l’accordo bilaterale del 1956 l’Italia riconosceva alla Libia una somma di denaro quale risarcimento per i danni di guerra. Inoltre, tutte le proprietà demaniali italiane passavano alla Libia; in cambio, agli Italiani lì residenti era riconosciuta la proprietà dei loro beni legalmente acquisiti.

Questi gli scarni fatti storici, ma mercoledì 21 luglio ricorrerà il 55° anniversario della illegale confisca delle proprietà italiane in Libia operata dal colonnello Muammar Gheddafi.
Il 1° settembre 1969, Gheddafi, giovane ufficiale di 27 anni e altri suoi colleghi dell’esercito libico, approfittando di una grave malattia di re Idris Idris Senussi, che stava in Grecia per delle cure termali, misero in atto un colpo di stato incruento.

Nel 1970, pochi mesi dopo, egli ordinò l’espulsione di 20.000 cittadini italiani, i quali persero tutti i loro beni, terreni e case, in barba al trattato del 1956 che li tutelava. Oggi, i profughi e i loro discendenti, a distanza di 55 anni, sono ancora in attesa di giustizia e di un risarcimento per tutte le loro proprietà perdute. Gheddafi giustificò quella rapina come una compensazione per i danni arrecati alla Libia dal colonialismo italiano.
Questi profughi italiani sono riuniti in una associazione che lotta per dar loro una parziale giustizia, ma oltre al danno ci fu la beffa, perché, a causa di un trattato di amicizia tra Italia e Libia firmato da Berlusconi e Gheddafi il 30 agosto 2008, l’Italia si è impegnava a pagare in 20 anni 5 miliardi di dollari di risarcimenti alla Libia per il passato coloniale, senza che venisse menzionata una compensazione per i nostri profughi.
Libia. Dallo scatolone di sabbia all’oro nero
Ardito Desio aveva scoperto il petrolio in Libia, ma il governo italiano per via della guerra non si mosse con la necessaria energia per estrarlo. Con la fine della guerra, usando trivelle americane, l’oro nero cominciò a scorrere, ma l’economia libica sino al 1969 era ancora in buona parte controllata dagli Italiani e una vecchia colonia di israeliti. Intuendo la malaparata, nel giro pochi mesi 4.000 italiani lasciarono l’ex colonia.
Poi, il 9 luglio 1970 Gheddafi, con un discorso che tenne a Misurata, annunciò la confisca di tutti i beni dei cittadini italiani ancora residenti, decretandone poi l’espulsione (21 luglio 1970) senza corrispondere loro alcun indennizzo. Il valore dei beni degli Italiani fu allora quantificato al tempo in circa 400 miliardi di lire (una Fiat 500 costava 525.00 lire) e in meno di tre mesi altri 14.000 italiani dovettero forzatamente rimpatriare.
Gheddafi fece espellere anche tutti i resti mortali dei nostri soldati sepolti nel cimitero Hammagi di Tripoli: che furono trasferiti al Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari. Non vi furono incidenti diplomatici, né di altro genere, che giustificassero le drastiche decisioni di Gheddafi; il suo fu un comportamento arbitrario perché non tenne conto del legittimo accordo internazionale precedente. Secondo Gheddafi il colonialismo italiano aveva provocato alla Libia danni ben maggiori a quelli già da noi risarciti nel suddetto trattato. La decisione del dittatore seguì l’esempio di Nasser in Egitto. Quel provvedimento contribuì a far precipitare la Libia in un lungo isolamento diplomatico ed economico, dal quale non è ancora uscita.
Francesco Prestopino, consigliere dell’Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia Onlus (AIRL) di Roma, scrisse che le modalità di sgombero degli Italiani furono incivili, ingiustificati e brutali. Gli Italiani dovettero lasciare tutti i loro beni alle spalle e portarsi dietro solo limitate somme di denaro e una valigia d’indumenti.
I governi italiani fecero ben poco per tutelare gli interessi e la dignità dei connazionali, dimostrando un’eccessiva arrendevolezza iniziale che da Gheddafi, come sempre quando si ha che fare con un bullo, fu confusa per debolezza.
Per quanto riguarda gli “Italiani di Libia” (cioè, quelli nati in Libia) esiste dal 1970 il divieto di ritorno; ad essi non è concesso il visto sul passaporto perché ritenuti fascisti e colonialisti. Questa fu una ripetizione dell’esodo dei fiumani e dalmati. Negli anni ‘20 del Novecento la Libia era un paese povero, mancava l’acqua e l’agricoltura era ancora primordiale. Quando gli Italiani rimpatriarono, essa era diventata una delle colonie più progredite del Mediterraneo: con città che non avevano nulla da invidiare a quelle italiane. Solo nel 2004 Gheddafi permise per la prima volta agli italiani cacciati o ai loro discendenti di visitare il Paese.
Dopo 55 anni sono ancora in forza i contenziosi relativi ai risarcimenti spettanti alle famiglie italiane. La legge di ratifica del trattato italo-libico del 2008, che il premier Dbeibah aveva dichiarato a più riprese di voler riattivare, prevede un articolo specifico (art. 4 l. 7/09) per il risarcimento dei beni espropriati. Ma con gli attuali problemi sarà difficile che vengano attuati.