(di Gianni Schicchi) Ormai le scenografie di Stefano Poda hanno preso pieno possesso degli spazi areniani e si confermano anche nel nuovo allestimento del Nabucco di Verdi che ha aperto il 102° Opera Festival con un grande sfarzo di luci e di costumi forse mai visto in passato, anche se la vicenda è priva di qualunque riferimento al contesto ebraico – babilonese del libretto.

Un Nabucco (opera con cui Poda si è più volte già cimentato) ancora più proiettato verso il futuro della “gemella” Aida di due anni fa (con cui condivide l’intero assetto della platea), come testimoniano soprattutto i monumentali elementi scenici, densi di una simbologia non sempre di facile comprensione, con una gigantesca clessidra su cui campeggia la scritta “Vanitas” e due sfere che si uniscono in un’unica al centro della scena nel finale dell’opera.

Nabucco scontro – ricongiungimento fra due polarità

Poda concepisce una vicenda come “scontro – ricongiungimento fra due polarità”, dove i due emisferi non rappresentano solo il conflitto ebreo babilonese, ma anche i binomi spiritualità – razionalità, fede contro ragione, che si attraggono e si respingono durante tutta l’azione scenica per poi arrivare alla sintesi del finale dove i due opposti si riconciliano.

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Il fulmine del secondo atto (Dio punisce l’oltraggio rivoltogli da Nabucco), culmine della messa in scena, viene rappresentato da una gigantesca esplosione “atomica” a rappresentare la distruzione e la desolazione della ragione separata dalla spiritualità. Il conflitto e la guerra sono il rumore di fondo di tutta la trama, raffigurati da guerrieri dotati di corazze luminose e armi bianche, impegnati poi in coreografie pressoché sempre identiche, dove Poda tralascia un regia vera e propria per concentrarsi più sull’estetica generale. Qui però non abbiamo capito la necessità di muovere una dozzina di mimi costantemente addossati (meglio abbracciati) ad alcuni interpreti: il che non rende certamente agevole il loro canto.     

Per venire quindi all’esecuzione, la direzione di Pinchas Steinberg (ritorna in Arena dopo oltre trent’anni) procede sui binari di una correttezza formale, ma dove gli attacchi dei singoli quadri o dei singoli momenti cruciali dell’azione sono sempre assai interessanti.

Il concertato del primo atto, ad esempio, è preparato stupendamente, tra l’altro risolvendo con rara sagacia l’insidiosa fusione tra orchestra e banda interna. Una orchestra, che come già dimostrato da qualche tempo, sa destreggiarsi mirabilmente in una partitura che conosce a menadito, ma che con Steinberg assume poi nuovi connotati drammatici. Il coro preparato da Roberto Gabbiani prende parte attiva alle felice esecuzione anche se mancante della parte culminante col “Va pensiero”; la terza recita dell’opera è finita infatti azzoppata dalla pioggia. 

Le sorti della serata vengono poi risollevate dall’ottima prestazione del cast, composto in gran parte da interpreti di riferimento dei rispettivi ruoli. Amartuvshin Enkhbat è un Nabucco autorevole, che proprio a Verona (col circolo Verona Lirica) deve il suo decollo italiano. Il baritono mongolo non eccede in fantasia espressiva, ma canta davvero bene, con abbandono e morbidezza, propri di chi sa sostenere con criterio il fiato, indirizzato verso sonorità sempre molto gradevoli. 

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Al suo fianco si impone ancora una volta Anna Pirozzi, una Abigaille svettante, padrona di una parte che conosce e domina alla perfezione, tanto nelle turbolente virate dell’acuto quanto nei rapinosi affondi del grave. Ottimo anche lo Zaccaria di Roberto Tagliavini, un sacerdote – guida degli ebrei dalla linea di canto rotonda, di vellutata pastosità che rimanda a esempi famosi (Pinza/Siepi). Il suo fraseggio scava già con grande acume teatrale nelle pieghe di certi recitativi o di certe modulazioni della scrittura musicale.

La russa Vasilisa Berzhanskaya è una Fenena ben proiettata con una certa dovizia timbrica, mentre Francesco Meliè pregevole nei panni di Ismaele, per l’esemplare eleganza del fraseggio. Ai margini si comporta con molto mestiere il terzetto dei comprimari, dove Gabriele Sagona interpreta il Gran sacerdote di Belo), Carlo Bosicome Abdallo e Elisabetta Zizzo (Anna).

L‘allestimento per ora riscontra l’applauso accondiscendente del pubblico. Se sarà tutta gloria (anche di cassetta) lo scopriremo al termine