(Angelo Paratico) Jen Lin-Liu, nata a Chicago, ha scritto molto di cibo, cultura e viaggi per il New York Times, il Wall Street Journal e Newsweek. Qualche anno fa ha pubblicato un libro sugli spaghetti e sulla pasta, s’intitolava On the Noodle Road ovvero sulla via degli spaghetti ed è un diario di viaggio dedicato alla diffusione degli spaghetti e della pasta lungo quella che oggi è conosciuta come la via della seta. Tutto per lei iniziò con un corso di cucina tenuto da Andrea, lo chef del ristorante Le Fate, nel vecchio quartiere romano di Trastevere, dove lei si trovava in vacanza di studio. 

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“Gli americani”, disse Andrea, “pensano che gli italiani usino molto aglio. Noi non usiamo molto aglio, cancellate questa informazione dalla vostra mente!” disse ai suoi studenti. Dopo questa schietta premessa, insegnò a Lin-Liu come preparare la pasta e tirarla per ottenere degli spaghetti sottili. Chiunque sia cinese, ovviamente, troverà tutto questo molto familiare, pur usando sempre riso e non grano. Andrea le mostrò come preparare le orecchiette, che lei ha riconosciuto come qualcosa che i cinesi chiamano: “orecchie di gatto”, e poi le tagliatelle, anche quelle comunissime in Cina.

Lin scoprì così come la cucina cinese abbia qualcosa di simile a ogni tipo di pasta italiana che Andrea le presentava. Noi però non possediamo la loro abilità di provocare la divisione in spaghetti semplicemente torcendo un cordone di pasta infarinata, questo è uno spettacolo strappa-applausi nei migliori ristoranti in Cina.

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L’idea che tutta la pasta abbia un’origine comune l’affascinò anche dopo che le ricerche avevano indicato che si trattava di un argomento difficile da approfondire. Potrebbe essere stato Marco Polo a portare gli spaghetti dalla Cina, come si sente ripetere spesso in Cina? Certamente no, perché la pasta italiana è antecedente al viaggiatore veneziano, ed esistono affreschi a Pompei che mostrano gli spaghetti. Allora, dove e quando è avvenuta questa contaminazione?

I primi spaghetti trovati in Cina in una tomba di 2000 anni a.C.

In Cina, gli spaghetti più antichi sono stati trovati in una tomba risalente a duemila anni prima di Cristo, a Lajia, vicino a Lanzhou, proprio dove passava la via della seta. Tuttavia, non appena era stata aperta la ciotola sigillata che li conteneva, questi erano caduti in polvere. Ciononostante, sembra che l’affermazione dei cinesi di aver inventato per primi gli spaghetti possa avere una certa validità, non solo per questo particolare ritrovamento archeologico, ma anche per le numerose menzioni che se ne trovano nei documenti storici precedenti a Cristo.

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Dopo l’Italia, Lin-Ju si trasferì a Pechino con il marito americano, che non condivideva il suo entusiasmo per il progetto di tornare a Roma attraverso la “via degli spaghetti”. Tuttavia, come tutti sappiamo, un marito poco entusiasta non può competere con una moglie determinata, e così lei lo lasciò a casa a lamentarsi e partì. Viaggiò da un capo all’altro della via della seta, assaggiando i vari tipi di spaghetti e di tagliatelle lungo il percorso, per poi raccogliere tutto nel suo libro, con tutti i dettagli di ciò che scoprì. Le sue pagine sono piene di flashback sulla sua vita, la sua famiglia e sua nonna, la politica, la cultura, conferendo un tocco di Marcel Proust all’umile spaghetto.

Il suo libro si trasformò in molto più di una semplice ricerca culinaria; l’autrice spiegava perché il cibo è cultura e che le persone sono davvero ciò che mangiano. Alla fine di ogni capitolo sono riportate le ricette, che consentono a tutti i viaggiatori da poltrona di percepire, se non vedere, ogni luogo, da Kashgar a Samarcanda, da Teheran a Bodrum, sulle rive turche del Mediterraneo.

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Sembra tuttavia che l’autrice si sia dimenticata il contributo di Hong Kong alla cultura degli spaghetti. Gli ormai onnipresenti noodle istantanei in tutta l’Asia furono creati alla fine della Seconda guerra mondiale, non dai giapponesi come molti credono, ma da un prete italo-americano di nome Fr. John (Giovanni) Romaniello che sfamava i rifugiati e i poveri di Hong Kong. La farina di riso sotto forma di spaghetti erano il cibo più facile da cucinare e questo evitava di lasciare marcire sacchi di farina di riso, che avevano una vita molto inferiore rispetto agli spaghetti essiccati. Venduti in contenitori di polistirolo vengono preparati versandoci sopra dell’acqua bollente e delle spezie.

Questo è ora un business multi-miliardario in tutto l’Estremo oriente. Per questo motivo Romaniello fu soprannominato “il prete degli spaghetti”: ecco questo è un capitolo interessante, anche se poco conosciuto, persino a Hong Kong, della storia d’amore tra la Cina e l’Italia. Almeno per quanto riguarda un piatto di spaghetti, i due mondi si incontreranno sempre e diventeranno uno, evitando guerre e distruzione.

Fried noodles at Chinese Food Shop in Yuen Long Market