È una rottura profonda quella che si è consumata con la firma della pre-intesa sul rinnovo del contratto nazionale della Sanità, sottoscritta lo scorso 18 giugno dalla Cisl e da altri sindacati, senza l’adesione di Cgil e Uil. Un passaggio che, secondo le segreterie territoriali di Fp Cgil e Uil Fpl, rappresenta un punto di non ritorno per la sanità pubblica italiana e per le dinamiche del confronto sindacale.
Il documento firmato – spiegano i rappresentanti sindacali – comporta una perdita netta del potere d’acquisto e non offre alcuna risposta concreta sul fronte della contrattazione decentrata, del miglioramento delle condizioni lavorative o dello sviluppo di carriera del personale. Per il territorio veronese, dove operano oltre 9 mila dipendenti tra Ulss 9 Scaligera e Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, le ricadute sono pesanti.
«Questa intesa è uno spartiacque – affermano Antonio De Pasquale (Fp Cgil Verona), Stefano Gottardi (Uil Fpl Veneto e Verona), Simone Mazza (Fp Cgil Verona) e Luca Molinari (Uil Fpl) – un messaggio politico chiaro: la sanità pubblica non sarà rilanciata, chi può si rivolga al privato».
La principale contestazione riguarda il mancato recupero dell’inflazione maturata nel triennio, stimata al 17%. La pre-intesa prevede solo un adeguamento del 5,78%, determinando, secondo le sigle sindacali, una decurtazione annuale netta di circa 2.450 euro per infermieri, tecnici sanitari e fisioterapisti; 2.200 euro per gli assistenti amministrativi e 2.028 euro per gli operatori socio-sanitari.

Inoltre, non vengono stanziate risorse per i differenziali economici di professionalità (DEP), ovvero le progressioni di carriera, né vengono riviste le indennità di turno, notturno e reperibilità, ferme da vent’anni. Restano infatti bloccati a 1,80 euro/ora per la pronta disponibilità, 2,55 euro/ora per i turni festivi, 4,00 euro/ora per quelli notturni e 5,00 euro/ora per servizi ad alta complessità come terapia intensiva o malattie infettive.
A peggiorare il quadro, secondo i sindacati, anche alcune modifiche normative: tra queste la possibilità, in sede di contrattazione decentrata, di aumentare i turni mensili di reperibilità estiva fino a nove, e la trasformazione delle ferie residue in ore anziché giorni, compromettendo il necessario recupero psicofisico degli operatori sanitari.

Altro punto critico è la prevista introduzione di una nuova figura ibrida, l’“assistente infermiere”, formata attraverso un breve corso di circa 500 ore, che rischia – secondo Cgil e Uil – di compromettere la qualità dell’assistenza ospedaliera. Le organizzazioni sindacali avrebbero invece preferito il pieno riconoscimento della figura dell’OSS senior, già contemplata nel contratto attualmente in vigore.
«Si guadagna poco? Allora lavora di più»: è questa, secondo i sindacati, la logica che emerge dalla previsione di prestazioni aggiuntive e straordinari detassati, limitati al solo personale sanitario. Una strategia giudicata fallimentare, che non tiene conto dell’alto livello di stress e carico già presente e non contrasta in alcun modo il fenomeno delle dimissioni volontarie e dell’esodo verso l’estero, dove – si ricorda – un infermiere guadagna mediamente il 30% in più.
Infine, viene contestata anche la misura del bonus da 3 mila euro per le borse di studio, ritenuta insufficiente a colmare il deficit nazionale di circa 65 mila infermieri e ad attrarre nuove generazioni verso la professione.
Fp Cgil e Uil Fpl chiedono con forza che l’intesa definitiva, prevista entro la fine dell’anno, non venga firmata nelle condizioni attuali. «Non è questo il contratto che serve alla Sanità pubblica, ai suoi professionisti e ai cittadini», concludono i rappresentanti veronesi.
