(Angelo Paratico) In questi giorni si parla molto del presidente Trump che vorrebbe licenziare Jerome Powell, il capo della Banca Centrale americana, nota come Federal Reserve, perché non abbassa gli interessi sui prestiti e quindi rallenta lo sviluppo economico. Molto si parla delle banche centrali ma pochi sanno cosa siano (sono entità private) e qual è stata la loro origine.
In televisione vediamo presentati gli economisti e i banchieri come degli scienziati, ma in realtà in campo monetario ed economico la matematica, oggi come ieri, serve solo a ingannare gli allocchi.
Ricordate quando i precedenti governatori della Federal Reserve come Ben Bernanke e Alan Greenspan ci venivano presentati come degli oracoli? Ebbene oggi le loro scelte paiono essere state errate, perché non sapeva nulla di più dell’uomo della strada e lo stesso Greenspan aveva poi ammesso di aver parlato volutamente in maniera oscura. Forse aveva ragione Henry Ford a dire che si svelasse come funziona il sistema bancario, avremmo operai e contadini con i forconi in piazza. Ad Aristotele i banchieri stavano antipatici, infatti, nel suo libro sulla Politica scrisse: “Il denaro è sterile per sua natura. Far sì che generi altro denaro è assurdo e una perversione del fine della sua istituzione: il cui unico scopo era lo scambio e non l’accumulo. Dovremmo odiare quegli uomini che si chiamano banchieri, perché s’arricchiscono senza far nulla”.

Come nacque la prima delle banche centrali
La necessità di una banca centrale privata venne illustrata dallo scozzese William Paterson (1658–1719) un mercante e bucaniere scozzese, in un suo libello uscito nel 1693 e intitolato: A Brief Account of the Intended Bank of England nel quale diceva che tale banca avrebbe “goduto del beneficio degli interessi su tutte le monete che crea dal nulla.” Venne preso sul serio e il 21 giugno 1694 aprirono le liste di sottoscrizione alla banca, che disponeva di un capitale di 1.200.000 sterline, e che fu sottoscritto per intero prima del lunedì successivo.
L’apparente obiettivo della banca d’Inghilterra era quello di concedere al re Guglielmo prestiti illimitati in cambio di un 8% annuo d’interessi per consentirgli di proseguire la sua attività bellica, in particolar modo contro Luigi XIV di Francia. Così facendo, la banca avrebbe ricevuto dalla Corona interessi pari a 100.000 sterline all’anno, di cui 4.000 come tasse amministrative. Inoltre, tale Bank of England acquisì il diritto di emettere 1.200.000 sterline sotto forma di banconote, senza una copertura aurea, che poi altre banche avrebbero riprestato a interesse. Quando la Corona ordina la stampa di 100 sterline alla Banca Centrale, questa le produce trattenendone 8.
La Corona distribuirà quelle 92 sterline ai propri fornitori di cannoni e fucili che li depositeranno in altre banche, queste a loro volta le ripresteranno ad altri loro clienti, segnandoli nei propri registri anche se non esistono e non li hanno in cassa. Ecco così che quelle 92 sterline si saranno trasformate in 920 sterline prestate più gli interessi mensili. Di nuovo verranno riprestate da altre banche, all’infinito, creando enormi somme nei libri contabili. Quando Napoleone capì questo meccanismo si dice che esclamò che tutto questo è mostruoso, ed era stupito che l’umanità non fosse già stata inghiottita dai debiti.
La fondazione della Bank of England incontrò una forte opposizione. Prima di tutto da parte degli orafi e dei prestatori di denaro, i quali avevano giustamente intuito che questa avrebbe messo fine al loro sistema privilegiato basato sulla circolazione delle loro ricevute per l’oro. La piccola nobiltà e i proprietari terrieri temevano un aumento dei tassi di interesse, dal momento che la banca avrebbe avuto il controllo sulla quantità di massa monetaria in circolazione, e inoltre avrebbero favorito determinati mercanti con tassi di interesse più bassi. Il timore maggiore, però, era che la “banca diventasse troppo forte, trasformandosi nella chiave di volta del mondo commerciale. Purtroppo, i loro timori erano fondati e le cose andarono esattamente così, visto che la Banca d’Inghilterra è diventata il modello a cui in seguito si sono ispirate tutte le altre banche centrali, anche la Banca d’Italia, prima della creazione dell’euro.
In quel periodo il parlamento britannico contava 514 membri, di cui 243 conservatori, 241 laburisti e 28 membri il cui credo politico rimane sconosciuto. I due terzi circa erano proprietari terrieri e più o meno il 20% era semi-analfabeta. Il disegno di legge fu discusso nel luglio del 1694, nel pieno dell’estate, quando la maggior parte dei membri provenienti dalla campagna erano impegnati in occupazioni agricole. Il 27 luglio 1694, quando passò la legge che creava la Bank of England, erano presenti solo 42 membri, tutti laburisti, che votarono a favore (tanto per capire come funzionasse il quorum in quei tempi). Il titolo della proposta di legge non faceva menzione della Banca d’Inghilterra, celata dietro una indecifrabile verbosità del testo.
L’intestazione era: “Guglielmo e Maria per grazia di Dio, re e regina d’Inghilterra, Scozia, Francia e Irlanda, difensori della fede, ecc. A quanti leggeranno il presente documento, saluti.” La terza frase, che nel testo originale contiene 242 parole, inizia così: “Premesso che un Atto recentemente presentato in Parlamento con il titolo di Atto per la Concessione alle Loro Maestà di alcune tasse e alcuni dazi sul TONNELLAGGIO DI NAVI E BASTIMENTI, come pure sulla birra e altri liquori, al fine di assicurarsi determinate ricompense e vantaggi menzionati nel suddetto Atto, a tali persone che vorranno pagare volontariamente la somma di un milione e cinquecentomila sterline per il proseguimento della guerra contro la Francia, è stato tra le altre cose approvato…” .
L’essenza dei primi due terzi del disegno di legge ben descrive la necessità di imporre tutta una serie di nuove aliquote, imposte e tasse varie su navi, birra e altri liquori. Il vero obiettivo di queste tasse era il finanziamento degli interessi su tutti i prestiti governativi futuri. Di lì a poco, poi, sarebbero state introdotte altre tasse, tra cui un’imposta fondiaria, un’imposta sulla carta, un’imposta di capitazione, un’imposta sul sale, un’imposta di bollo e un’imposta sulle finestre, che andava a sostituire quella sul focolare o sul camino. Altre tasse introdotte furono quelle sui venditori ambulanti, sulle vetture da nolo, sulle nascite, i matrimoni, le morti e da ultimo anche sul celibato.
Tuttavia, l’imposta più severa fu quella sul reddito, applicata a un tasso del 20% non solo alle imprese ma anche agli operai. Da quel momento si diffuse l’abitudine di intraprendere guerre inutili che portarono all’incremento del debito nazionale e dei profitti degli usurai. È interessante notare come la maggior parte di queste guerre sia stata intrapresa contro quei paesi che avevano adottato sistemi bancari statali senza interessi, come le colonie del Nord America e la Francia sotto Napoleone.
Questa tattica di attaccare (o contrattaccare) e poi imporre l’usura dei banchieri è stata ampiamente usata nell’era moderna, per esempio in occasione della sconfitta della Russia imperiale nella Prima Guerra Mondiale, della Germania, dell’Italia e del Giappone nella Seconda e, più di recente, in Libia nel 2011. Tutti paesi, questi, con un sistema bancario statale che distribuiva le ricchezze su base equa e garantiva alle loro popolazioni uno standard di vita di gran lunga superiore a quello delle nazioni rivali.
Nel 1696, due anni dopo la sua istituzione, la Banca d’Inghilterra poteva contare su una quantità di banconote in circolazione pari a 1.750.000 sterline, con una riserva aurea del solo 2%, ovvero 36.000 sterline. Il 1° maggio del 1707 si arrivò all’unione tra Scozia e Inghilterra, motivata in buona parte dalla necessità di assumere il controllo della zecca reale di Edimburgo, cosa che puntualmente si verificò nel 1709. Nel 1720, una volta finita la Guerra di Successione spagnola (1701-14), il debito nazionale era salito a 30 milioni di sterline, con la stessa guerra che di sterline ne era costate 50 milioni. Finita la Guerra d’Indipendenza americana (1775-83) combattuta dopo che i coloni erano stati obbligati a sostituire il proprio debito e i buoni coloniali, fondamentalmente privi di interessi, con la valuta inglese, portando a una disoccupazione del 50%, il debito nazionale schizzò a 176 milioni di sterline.
Per poter pagare gli interessi in rapido aumento, nel 1797 fu necessario introdurre un sistema di imposte progressive sul reddito, che nel 1815 stava già fruttando 70 milioni di sterline all’anno. La guerra contro la Francia durò dal 1792 al 1815 e tra gli obiettivi principali di questo inutile spargimento di sangue vi era la distruzione del sistema finanziario di Napoleone, che non conosceva né debito né interessi.
Nel 1815 il debito nazionale crebbe a dismisura, arrivando a 885 milioni di sterline. Nella sua totale inutilità, la guerra fece circa tre milioni di vittime tra il personale militare e almeno uno tra i civili. La distruzione della banca di stato di Napoleone costò al popolo britannico la cifra esorbitante di 831 milioni di sterline, di cui una parte risultava ancora insoluta nel 1914. Nel frattempo, il capitale di 504 milioni di sterline era quintuplicato a causa dell’effetto multiplo degli interessi.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1914, il debito nazionale era pari a 650 milioni di sterline. Il 31 marzo del 1919 arrivò a 7,434 milioni di cui, dopo 95 anni, 3 risultano ancora insoluti a un tasso d’interesse del 3,5% annuo. Il bilancio del 1919 prevedeva che il 40% delle spese fosse destinato al pagamento degli interessi. Durante la Seconda Guerra Mondiale il debito nazionale aumentò quasi del 300%, passando da 7,1 miliardi nel 1939 a 20,1 nel 1945.
Da ciò risulta evidente che la guerra è un pessimo affare per tutti, tranne che per gli usurai e per i banchieri.