Il settore manifatturiero italiano sta attraversando una fase di profonda incertezza, stretta tra la crisi della siderurgia, l’instabilità dei mercati globali e il rallentamento della produzione di acciaio e laminati. A denunciarlo è Claudio Cioetto, presidente di Confimi Apindustria Verona, che lancia un appello al mondo politico per evitare che l’Italia perda definitivamente il controllo di uno dei comparti strategici del proprio sistema industriale.

«La manifattura – osserva Cioetto – soffre una crisi di pianificazione aggravata dalla situazione dell’ex Ilva di Taranto e dalla guerra dei dazi. La nostra filiera sta progressivamente erodendo competitività e capacità produttiva».

Il presidente di Confimi Verona sottolinea come l’autorizzazione integrata ambientale recentemente ottenuta dall’impianto tarantino non rappresenti una garanzia di rilancio: «L’ex Ilva resta un sorvegliato speciale. La questione della decarbonizzazione è centrale, ma da sola non basta: occorre un impegno corale per assicurare un futuro produttivo al comparto siderurgico».

Il timore concreto, spiega Cioetto, è quello di dover dipendere sempre più da forniture estere di materia prima. «La cantieristica ha ordini e commesse, ma con quali materiali possiamo garantire la produzione? Dovremo rivolgerci alla Cina o alla Turchia? Sarebbe più logico e strategico poter produrre acciaio in Italia, ma al momento questo non è possibile a causa di veti incrociati, rimpalli di responsabilità e stallo decisionale tra enti locali, società e Governo. È una situazione inaccettabile per un Paese industrializzato».

Cioetto ribadisce la necessità di un equilibrio tra le esigenze ambientali e quelle produttive: «Decarbonizzare è un obiettivo condivisibile, perché salute e occupazione devono camminare insieme. Ma oggi il settore soffre una vulnerabilità strutturale dovuta alla scarsa disponibilità di materia prima e a costi insostenibili».

La siderurgia italiana – prosegue il presidente di Confimi Verona – si trova in un passaggio cruciale della propria storia. L’ex Ilva, che proprio in questi giorni ha raggiunto i 65 anni di attività, è però ferma «a forni spenti», come ricorda Cioetto: «L’accordo fallito con ArcelorMittal avrebbe dovuto rappresentare un punto di svolta. Invece ci siamo limitati a interventi tampone e oggi paghiamo un prezzo altissimo. La crisi dell’automotive dovrebbe insegnarci qualcosa: non possiamo permetterci lo stesso errore anche per la siderurgia».

La richiesta di Confimi Apindustria è chiara: avviare al più presto un piano industriale nazionale per la siderurgia, capace di guidare la transizione ecologica senza sacrificare la produzione e il ruolo strategico di questo comparto per l’economia italiana. «Servono garanzie concrete – conclude Cioetto – per accompagnare il cambiamento verso un modello più sostenibile, ma senza abbandonare il nostro sistema produttivo. Lo Stato deve intervenire ora, prima che sia troppo tardi».