(di Gianni Schicchi) La Tempesta, ultima opera certa di Shakespeare, viene presentata nell’Estate Teatrale Veronese in prima nazionale, con la regia dell’argentino Alfredo Arias, che fin dal Festival di Avignone del 1986 aveva affrontato la commedia con un potente linguaggio poetico e visionario. Lo ripropone ora anche in Italia, a Verona, Catania, Palermo, Torino, con protagonista Graziano Piazza nel parte di Prospero, un ruolo ideale per un interprete sempre alla ricerca di personaggi dalla forte connotazione contemporanea e sociale.

Arias lavora intensamente sul testo shakespeariano incitando gli attori a scavare nel profondo dei personaggi per fare emergere i simbolismi più reconditi: un lavoro che mira al significato interiore delle opere piuttosto che ad una semplice messa in scena.

La scenografia è più concettuale che naturalistica, evocando in palcoscenico un’isola che è insieme luogo fisico, dimensione mentale e teatro. Questa scelta crea un’atmosfera dove sogno, realtà e follia si mescolano, trascinando il pubblico nel cuore della psiche dei personaggi. Arias mette in scena questo intimo intento, non come forza e violenza, ma come potere creativo: la magia del suo protagonista è una metafora per l’arte teatrale, per il potere dell’immaginazione e della parola.

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Prospero incarna così la figura del demiurgo: artista dentro l’opera e regista delle dinamiche narrative, in una riflessione sul potere, nonché manipolatore di situazioni e di persone tramite la sua magia, per condurli al perdono di coloro che lo hanno tradito. Un vero e proprio viaggio poetico e simbolico che trasforma l’isola in un palcoscenico labirinto in cui i piani narrativi, psicologici e temporali si stratificano e dialogano.

Un comportamento non come debolezza, ma come atto di liberazione, di rottura col risentimento, l’ostilità, il rancore, dove Prospero diventa l’alter ego dello stesso regista (o lo stesso autore?) manovrando la scena per guidare attori e spettatori verso la catarsi. Il suo è un rituale di riconciliazione che ci guida a comprendere che solo lasciando andare il passato si può riemergere nel presente.

L’allestimento rimarca il teatro dentro il teatro, rimodula le scene (come la tempesta) non solo come effetti scenici, ma come manifestazioni di potere simbolico. Il confine tra il reale e il meraviglioso è continuamente ridefinito, col pubblico che diventa parte di questo spazio magico. Arias punta a far emergere l’opera come specchio dell’anima: esilio, colpa, perdono, potere, redenzione. Tutte tematiche trattate non in modo didascalico, ma come esperienze psicologiche profonde, rese tramite metafore visive ed evoluzione interiore dei personaggi, con continui rimandi simbolici che travalicano il puro testo. Ogni elemento, scena, recitazione, simbolo, è funzionale ad una esperienza che va oltre la visione, con gli spettatori inglobati nell’isola labirinto. 

Mettere in scena La Tempesta all’aperto non era impresa da poco, ma lo spettacolo ha presentato momenti di felice resa ed alcuni tempi sostenuti da una meticolosa sensibilità: davvero coinvolgente.   

I personaggi della Tempesta sono tutti in trasformazione. Ariel vuole la libertà, Calibano è diviso tra istinto e civiltà, Miranda si affaccia alla vita. La regia rende visibile questa trasformazione dell’identità attraverso cambiamenti vocali, movimenti astratti o luci che mutano colore e forma. Il tema dell’illusione permea tutto: cos’è reale, cos’è sogno? La scena diventa un mondo sospeso, dove il confine tra realtà e rappresentazione, sfuma. 

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Graziano Piazza ha avuto per il suo Prospero una disincantata pacatezza di accenti, mature riflessioni, calore affettivo, rampogne amare, profonda saggezza. La sua voce morbida, pastosa, ben timbrata si è imposta in maniera nitida e gradevolissima. Applausi molto vivi per lui al termine.

Ha chiamato a raccolta le sue migliori risorse, superando agilmente l’ostacolo Giulia Jelo, un Ariel volante, leggero, estroso, gentile, soccorrevole, ingenuamente beffardo. 

Violento, aspro, digrignante invece il Calibano di Rita Fuoco Salonia, che ha ben reso la contorta e repellente figura del figlio della strega Sicorace; intrigante, sottile e volitivo, l’Antonio di Luigi Nicotra, antagonista imbolo dell’ambizione e del tradimento, mentre una dolce, trepida e innocente Miranda è apparsa Rosaria Salvatico, con il suo Ferdinando,innamorato impetuoso recitato da Lorenzo Parrotto. 

Si sono egregiamente districati poi: Marcello Montalto come Alonso re di Napoli, emblema del potere terreno che si redime, con accanto il suo leale, onesto, anziano consigliere Gonzalo, interpretato da Federico Fiorenza. In bella evidenza le parti di Trinculo e Stefano, condotte abilmente dai bravi Alessandro Romano e Franco Mirabella, buffoni e maggiordomi ubriaconi, che mostrano l’assurdità dell’ambizione anche tra la servitù. Infine spazio al Sebastiano di Fabrizio Indagati, complice del piano per uccidere Alonso, degno rappresentante la corruzione della nobiltà. 

La produzione è del Teatro Stabile di Catania, Marche Teatro, Tieffe Teatro, TPE, in collaborazione con l’Estate Teatrale Veronese, la scena di Giovanni Licheri e Alida Cappellini, i costumi di Daniele Gelsi, le luci di Gaetano La Mela. Successo e vistosi applausi al termine per gli interpreti e per Alfredo Arias che si è complimentato con tutto il cast.