(Angelo Paratico) La prima bomba atomica impiegata in guerra cadde 80 anni fa, il 6 agosto 1945, su Hiroshima e una seconda su Nagasaki, il 9 agosto. Quella di Hiroshima fu una bomba all’uranio e quella di Nagasaki al plutonio, furono dunque due ordigni concettualmente diversi.  Sul piano tecnico quelle bombe segnarono il punto culminante del progetto Manhattan, che coinvolse migliaia di persone, con un investimento stimato in 2,5 miliardi di dollari. Nessuno sa esattamente quante persone morirono. Le stime variano molto. Solo a Hiroshima forse 70.000 il primo giorno e 200.000 nei seguenti 5 anni, un po’ meno a Nagasaki.

Esistono ancora molti malintesi circa quelle bombe, varie fake news che circolano ancor oggi. Gli Stati Uniti stavano già bombardando tutte le più grandi città del Giappone con ordigni convenzionali, ma alcuni degli strateghi americani pensavano che quella campagna non avrebbe portato a nulla, non bastavano le uccisioni indiscriminate di civili se poi lasciavano il settore degli armamenti in piedi e funzionante.

Le inutili bombe atomiche sul Giappone
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Le atomiche non fecero finire la guerra

Uno dei peggiori bombardamenti fu quello su Tokyo del 14 agosto 1945 – notate questa data, fu dopo le bombe atomiche – che durò 14 ore e coinvolse 1.014 bombardieri che scaricarono 60 mila tonnellate di bombe sulla capitale giapponese. Contemporaneamente alle bombe, la radio giapponese trasmetteva la voce dell’imperatore giapponese, registrata su un disco, che annunciava la resa. Quel bombardamento fu una sorta di ultimo e inutile spettacolo pirotecnico per chiudere la guerra. Quando tutto fu finito, Harry Truman promosse l’idea che la guerra finì grazie alle bombe atomiche, le quali, tutto sommato, salvarono vite umane.

Questa è la versione americana degli eventi, un tema ricorrente, ripetuto in documentari, libri, articoli e film, lo sentiremo ripresentato ogni giorno dalle nostre televisioni, in ricorrenza delle due fatidiche date. È vero che le stime di un’invasione di terra – già prevista per il 1° novembre 1945 – avrebbe causato la morte di un milione di soldati americani, perché a quel tempo l’esercito giapponese possedeva ancora 4 milioni di soldati e civili in grado di combattere e centinaia di aerei kamikaze pronti per essere lanciati in battaglia.

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Ma sarà tutto vero? La storiografia moderna sembra raccontare, sommessamente, un’altra storia, ovvero che le atomiche non accorciarono la fine della guerra neppure d’un giorno. La guerra era diretta da Tokyo ma a causa delle cattive comunicazioni, delle linee telefoniche cadute, delle strade fuori uso, l’enormità dei bombardamenti atomici poté essere apprezzata solo dopo almeno 2 giorni dalle persone che guidarono quella guerra, primo fra tutti l’imperatore Hirohito.

Fu infatti la dichiarazione di guerra sovietica presentata al Giappone l’8 agosto uno shock più forte dei bombardamenti atomici, perché l’intervento russo era il segno che tutto era davvero perduto per i giapponesi e che era meglio trovare un accordo con gli americani. È interessante notare che nel 1946 Albert Einstein disse che a suo parere le bombe atomiche furono usate per accelerare la fine della guerra prima dell’attacco di Stalin e aggiunse anche che, secondo lui, Roosevelt non avrebbe mai autorizzato il loro uso prima di morire nell’aprile del 1945. Pensava che il Giappone, per forza di cose, fosse destinato essere un loro alleato come lo era stato durante la Prima guerra mondiale.

Il Giappone, da molti mesi, era alla ricerca d’una via d’uscita. Il rifiuto giapponese di resa derivava dalla dichiarazione di Roosevelt a Casablanca del gennaio 1943 di una resa “senza condizioni” che suonava bene con il suo elettorato in patria, ma che non significava nulla. Tali parole avevano sorpreso Churchill quando gliele sentì pronunciare e che poi vennero raccolte dalla stampa. Ma Roosevelt non le intendeva in senso letterale. Il significato delle parole di Roosevelt era che erano risoluti a vincere a tutti i costi. Il problema fu che egli morì prima degli venti del 1945 e il suo successore, Truman, fu costretto a seguire quella via alla lettera.

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Per il Giappone sarebbe stato sufficiente un accordo che lasciasse l’imperatore sul trono di crisantemo, un po’ come accadde con i Savoia in Italia, e avrebbero alzato la bandiera bianca. Questa opinione è stata condivisa da tutti gli uomini della squadra di Truman tranne uno, il più potente e influente, il Segretario di Stato James (Jimmy) Byrnes – un uomo complesso e diabolico, che potrebbe essere un perfetto caso di studio per uno psicoanalista. Byrne era un uomo pieno d’odio, di ambizioni non realizzate, egoista e che disprezzava Truman per aver assunto la posizione di Presidente, che credeva destinata a sé stesso.

È un fatto storico che Churchill, MacArthur, Leahy, Grew, Eisenhower, Nimitz, Stimson e molti altri stavano premendo su Truman – almeno dal maggio 1945 – per includere la ‘clausola dell’imperatore’ nelle aperture di pace da presentare al governo giapponese, ma a causa dell’influenza negativa di Byrne, questo non fu possibile. L’irresoluto Truman, incapace di pensare diversamente dal suo segretario di Stato, propose un ultimatum al Giappone il 26 luglio 1945 nel quale ancora una volta mancava la clausola di salvaguardia dell’imperatore. Il governo giapponese, dopo averne discusso, si rifiutò di rispondere. Il primo ministro giapponese Kantaro Suzuki usò un termine che è ancora famoso negli ambienti diplomatici, ovvero offrì un ‘mokusatu’ che significa ‘rispondere con il silenzio’.

Il generale Eisenhower s’oppose all’uso della atomica e più tardi scrisse nelle sue memorie: “Non era necessario colpirli con quella cosa orribile”. Il capo di stato maggiore del presidente Truman, ammiraglio William Leahy, ha scritto: “L’uso di questa arma barbara a Hiroshima e Nagasaki non è stato di alcuna utilità materiale nella nostra guerra contro il Giappone. I giapponesi erano già sconfitti e pronti ad arrendersi.” Un famoso “falco”, il generale Curtis LeMay dichiarò poco dopo il loro utilizzo: “La guerra sarebbe finita in due settimane senza l’ingresso dei russi e senza la bomba atomica…la bomba atomica non ebbe niente a che vedere con la fine della guerra.”

L’ammiraglio Chester W. Nimitz dichiarò pubblicamente, due mesi dopo Nagasaki: “I giapponesi, infatti, avevano già chiesto la pace… La bomba atomica non ebbe alcun ruolo decisivo, da un punto di vista puramente militare.” Anche l’ammiraglio William F. Halsey dichiarò pubblicamente che: “La prima bomba atomica fu un esperimento inutile… [gli scienziati] possedevano questo giocattolo e volevano provarlo”. I primi a prestare soccorso a Hiroshima furono i gesuiti che vi gestivano un collegio, fra questi stava il loro futuro Padre generale, Pedro Arrupe. Da allora in Giappone i gesuiti godono di un grandissimo credito.

E la guerra continuò sino al 2 settembre

Chiudiamo con le cupe parole di Willard H. Reeves, un cappellano della Marina americana. “Quella sera ci siamo incontrati tranquillamente per cena. Sapevamo ben prima del lancio della bomba che il nemico era sconfitto e stava cercando la pace. C’era tristezza nell’aria per il fatto che Hiroshima era stata distrutta per niente. Alla fine un ufficiale spezzò il silenzio: “Perché lo abbiamo fatto?”, ed era tutto quello che poteva dire… Quando tornai a casa dopo la guerra e raccontavo la mia storia, la gente mi guardava sconcertata. Tutti erano stati convinti dalla stampa e dalle dichiarazioni rilasciate da persone del governo che il lancio delle due bombe era stato necessario per porre fine alla guerra”.

Ma la guerra continuò sino al 2 settembre e in quelle tre settimane morirono circa 400 mila persone, tra cui molti civili giapponesi e i soldati abbandonati in Manciuria e in altri avamposti.