(Angelo Paratico) Una breve visita a Hong Kong con mia moglie, veronese DOC, mi ha permesso di tastare il polso alla ex colonia britannica di Hong Kong dopo l’handover alla Cina Popolare. Io e lei ci eravamo conosciuti proprio nel glorioso FCC (il club dei corrispondenti esteri) un’oasi di pace per chi, negli anni Settanta, seguiva la guerra in Vietnam e la Rivoluzione Culturale in Cina. Vi si potevano incontrare Oriana Fallaci, Ilario Fiore e Tiziano Terzani, Ettore Mo, oltre ai rappresentanti dei maggiori giornali mondiali. Fra quelle vetuste mura ancora aleggia il loro profumo.

L’ex colonia britannica di Hong Kong ha festeggiato i primi 28 anni dal passaggio dalla Gran Bretagna alla Cina, avvenuto il 30 giugno 1997. La cessione fu possibile grazie alla promessa cinese di mantenere le cose come stavano per altri 50 anni, seguendo il principio enunciato da Deng Xiaping: un Paese, due sistemi che tutto sommato resse bene sino al 2019, ma saltò con l’inizio di una dissennata e violenta campagna, da parte di certi soi disant democratici, per una totale indipendenza dalla Cina, che costrinse il gigante asiatico a intervenire, con arresti e processi ancora in corso.
S’illudevano di poter mettere un gigante come la Cina in un angolo, oppure avevano ricevuto soldi per creare questi problemi? Forse, un po’ tutte e due le cose, anche se oggi o son fuggiti all’estero o stanno in galera. Una grossa responsabilità della malaparata spetta alla precedente capa dell’esecutivo, la signora Carrie Lam, che non ha saputo gestire la difficile situazione. Come dicono in toscana “il medico pietoso fa la piaga verminosa” e la sua mancanza di polso ha avuto effetti rovinosi su questa magnifica città-stato.
Pare lontanissimo quel 30 giugno 1997 che chiuse una storia iniziata nel gennaio del 1841, prima della creazione dell’Italia. Quando il primo ministro britannico Lord Palmerston seppe che il capitano Charles Elliot, dopo aver sconfitto una piccola flotta cinese, l’aveva dichiarata parte dell’impero, s’infuriò e la descrisse con disgusto come una “terra sterile con a malapena qualche casa sopra”.
Ma negli anni successivi ebbe uno sviluppo prodigioso e questo arcipelago di 276 isole e scogli, per la gran parte senza acqua potabile e con una superfice totale di 1.176 chilometri quadri, è oggi uno dei centri mondiali della finanza e del commercio.
Ricordo sempre quella notte memorabile, a fianco dell’amico Bruno Zoratto, con la cerimonia ufficiale del cambio di bandiere davanti al presidente cinese Jiang Zemin e del principe Carlo, con Tony Blair che era stato appena eletto primo ministro, il 2 maggio precedente, assieme al governatore Chris Patten, molto emozionato e che, con le lacrime agli occhi, stringeva al petto la bandiera britannica. La bandiera di Hong Kong cambiò quella notte e ne fu adottata una rossa con sopra il fiore di Bahunia (Bahuhinia blakeana) una pianta ubiqua a Hong Kong, accidentalmente scoperta nel 1880 da un monaco francese.

Tutte le piante esistenti discendono da quella, essendo un ibrido sterile e asessuato, un po’ come la stessa Hong Kong. Quella notte, sotto a una pioggia battente, centinaia di migliaia di spettatori diedero l’addio al panfilo reale Britannia, sul quale erano salite le autorità britanniche, cantando le vecchie canzoni dell’Impero, come Rule Britannia e Jerusalem, mentre il panfilo si muoveva sulla baia per uscire dalle acque territoriali cinesi. In quel momento dal confine cinese entravano le prime camionette con i soldati cinesi.
Avevo incontrato Tiziano Terzani al circolo dei corrispondenti esteri e avevamo scambiato delle battute. Mi disse che sarebbe partito prima del passaggio alla Cina, perché diceva che non voleva rivivere lo shock della caduta di Saigon del 1975, anche se quella fu ben altra cosa! Ricordo che la Rai mandò Carmen Lasorella, che fu alloggiata con la sua troupe presso al lussuoso Peninsula Hotel, proprio dove nel giorno di Natale del 1941 gli inglesi firmarono la resa con i giapponesi, che l’avevano invasa.
Gli ultimi giorni di Hong Kong britannica
Hong Kong, nei giorni immediatamente precedenti al passaggio alla Cina, era stata occupata da troupe televisive e da giornalisti provenienti da tutto il mondo e, dato che ai locali non garbava molto di finire in televisione, finirono per intervistarsi fra di loro. Fu in quell’occasione che nacque il termine di “giornalismo paracadutistico” che sta a indicare l’invio di reporters che conoscono poco dei fatti antecedenti e che però si trovavano costretti a dover raccontare qualcosa e a interpretare ciò che vedevano o credevano di vedere.
Un caso celebre, di cui ancora si parla nelle scuole di giornalismo, fu la leggenda che il governatore Patten, lasciando sulla sua Rolls-Royce per un’ultima volta la propria residenza coloniale, avrebbe fatto tre giri attorno alla fontana del suo giardino, in segno di buon augurio. Questa storia fu inventata da qualcuno a corto di argomenti e si diffuse in tutto il mondo, accettata come cosa certa e quando effettivamente Patten lasciò la propria abitazione, non facendo alcun giro attorno alla fontana, tutte le televisioni del mondo che mandavano quelle immagini parlarono comunque di quei suoi tre giri.
Gli ultimi anni che precedettero il passaggio di Hong Kong alla Cina erano stati pieni di tensione e di colpi di scena. Prima le figuracce della signora Thatcher e la guerra nelle Falkland, che le impedì di giocare duro con la Cina e poi arrivò Chris Patten, l’ultimo governatore. Patten fu un uomo politico britannico trombato alle elezioni nel proprio collegio e premiato con quel posto esotico.
Prima di lui i governatori erano stati tutti parte del corpo diplomatico, spesso sinologi di valore e maestri di diplomazia, certamente ben a conoscenza delle sottigliezze cinesi. Ebbene, Chris Patten, giunto nel 1992, dopo la tragedia di Piazza Tienanmen del 1989, volle affrontare la Cina a testa bassa, quando già i trattati erano stati firmati e approvati dai rispettivi governi, e questo creò molta irritazione.
Si formò un muro fra la Cina e il Regno Unito che durò sino a quell’ultima notte generando illusioni nel popolo di Hong Kong e diffidenza nei mandarini di Pechino.
Chris Patten ha mantenuto una certa immagine di homus democraticus a Hong Kong, anche se ha deluso le frange più estremiste, che si materializzarono poi nel movimento di Occupy Central e della rivoluzione degli ombrelli dicendo che chi lotta per l’indipendenza di Hong Kong è un illuso.
Eche non è ciò per cui lui s’era battuto, ma le sue ragionevoli parole vennero sommerse dai gridi della marmaglia, fra cui si distinsero certi partiti e media italiani che non capirono nulla di quello che stava accadendo, ricordo un telegiornale che mostrava Alberto Forchielli (immortalato da Crozza) seduto in piazza a Hong Kong con gli studenti che protestavano. Patten, dopo la sua esperienza a Hong Kong, fu ministro degli esteri presso alla Comunità Europea, lavorando nella squadra del presidente Romano Prodi.
