(Angelo Paratico) La polizia ha fatto chiudere il Louvre di Parigi. Il colpo “è durato solo sette minuti “, ha detto, parlando a France Inter, il ministro dell’Interno francese Laurent Nuñez, secondo il quale si tratta “chiaramente di una banda che aveva effettuato dei sopralluoghi” sul posto. I ladri hanno usato un montacarichi e delle seghe elettriche per entrare e tagliare le finestre.

I ladri hanno rubato nove pezzi della collezione di gioielli di Napoleone e dell’Imperatrice Giuseppina, tra cui una collana, una spilla e una tiara. Pare che abbiano perso per strada una corona appartenuta all’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III. Questi gioielli sono troppo famosi per essere rivenduti e il grande rischio ora è che potrebbero finire distrutti, estraendo le gemme preziose e poi fondendo l’oro che oramai ha raggiunto la quotazione di più di 4000 dollari all’oncia.
Torna alla mente un altro grande furto messo a segno al Louvre, accaduto il 21 agosto 1911, quando l’operaio Vincenzo Peruggia, nativo di Dumenza, in provincia di Varese, rubò la Gioconda. Descriviamo questa complessa storia della quale pochi conoscono i dettagli. Quella mattina entrò al Louvre, aprì la teca protettiva che lui stesso come operaio aveva montato e si portò via quella celebre tavola di legno, tenendola nascosta sotto al cappotto. Ne parlò tutto il mondo. Il poeta Guillaume Apollinaire, trovatosi impaniato in un complicato giro di articoli e di insinuazioni, fu arrestato per due giorni, accusato di aver rubato l’opera, un’esperienza che lo traumatizzò per il resto della vita, e anche Pablo Picasso fu interrogato dalla polizia francese assieme a centinaia di altri sospettati. Nel frattempo, per riempire lo spazio vuoto lasciato dalla Gioconda sul muro appesero la Donna con una perla di Camille Corot, ispirato proprio dalla Gioconda. Peruggia tentò poi di rivendere il dipinto al mercante londinese Henry Duveen, e poi al milionario americano J.P. Morgan, ma entrambi non lo presero sul serio.

Due anni dopo, Peruggia si recò a Firenze e nella sua camera d’albergo, il Tripoli-Italia, mostrò la Gioconda all’antiquario Alfredo Geri, al quale aveva già scritto, firmandosi Vincent Leonard, e tentò di vendergli il quadro per mezzo milione di lire. Geri aveva avvertito il direttore del Museo degli Uffizi, Giovanni Poggi, il quale, dopo aver visto il ritratto, lo autenticò e se lo fece prestare “per mostrarlo a un esperto”. Nell’uscire dall’albergo, Geri e Poggi vennero fermati da una guardia che sospettava stessero rubando una delle croste che arredavano le stanze di quella bettola, vista la Gioconda si tranquillizzò e li lasciò andare. Giunto agli Uffizi, Giovanni Poggi chiamò i carabinieri che andarono ad arrestare Peruggia nella sua cameretta, dove sonnecchiava. Fu imprigionato, processato e condannato a più di un anno di reclusione, poi ridotto a sette mesi, perché nel frattempo l’opinione pubblica, ignorando la sua richiesta di denaro, volle credere alla matrice nazionalista, che Peruggia usò solo dopo l’arresto. La sua reputazione d’eroe in Italia dura ancora, perché gli italiani tendono ad ignorare che re Francesco I acquistò la Gioconda pagandola una fortuna e che questa non fu bottino di guerra di Napoleone. Il dipinto fu consegnato all’ambasciatore francese il 21 dicembre 1913 e tornò trionfalmente a Parigi, dove venne ricollocato al Louvre il 4 gennaio 1914. Va rilevato che la stessa cortesia non fu mai estesa dal governo francese all’Italia per quanto riguarda i piccoli ma deliziosi codici di Leonardo tuttora conservati a Parigi, dopo essere stati rubati nel 1796 da un altro celebre ladro di origini italiane, Napoleone Bonaparte. Alfredo Geri incassò i ventiquattromila franchi di taglia offerti da Les Amis du Louvre e fu nominato cavaliere della Legion d’Onore, ma questo non gli bastò: poco nobilmente, intentò causa contro il governo francese, chiedendo il dieci per cento del valore del dipinto, ma la perse. Vincenzo Peruggia, dopo la scarcerazione, combatté nella Prima guerra mondiale e poi, nuovamente disoccupato, ritornò in Francia, e per sbarcare il lunario vendeva cartoline della Gioconda con la sua firma sopra e andava ripetendo: “Marciranno i tetti delle case, ma tutti ricorderanno il mio nome!”. Aveva ragione e una delle cartoline con la sua firma è stata recentemente venduta su ebay per 3000 euro.
Morì d’infarto a San Maur des Fossé, un sobborgo di Parigi, a quarantaquattro anni, 100 anni fa, l’8 ottobre 1925, proprio nel giorno del suo compleanno, mentre rincasava con una bottiglia di champagne e dei pasticcini per festeggiare con la moglie e la figlia. Quella sparizione durata due anni trasformò la Gioconda in un’icona a livello mondiale.

