(Simone Vesentini*) Gestisco un’osteria storica nel cuore di Verona. Vedo ogni giorno quanto sia difficile spiegare come la ristorazione stia cambiando sotto i nostri occhi. È un cambiamento rapido e silenzioso che rischia di erodere le tradizioni che hanno reso l’ospitalità veronese un modello nazionale.
La ristorazione italiana vive una crisi profonda: trattorie, osterie e ristoranti di quartiere chiudono come mai prima. Nel 2024 le chiusure sono state 29.000, contro 10.700 aperture: un saldo negativo che segna il crollo della fascia intermedia, per decenni spina dorsale della cucina italiana.

A Verona il fenomeno è evidente. Nel centro avanzano catene di cibo veloce e format internazionali pensati per un turismo “mordi e fuggi”, capaci di sostenere affitti elevati.
Le osterie storiche invece faticano sotto costi cresciuti del 20% dal 2020 e una crescente difficoltà nel trovare personale qualificato.

Nelle periferie il quadro non è migliore: il potere d’acquisto cala e la cena fuori torna un lusso. Le trattorie di quartiere, da Borgo Milano alle Golosine, perdono quella clientela quotidiana che garantiva continuità e radicamento.

Di fronte a tutto questo, molti osservatori liquidano la questione con un “È il mercato, bellezza” ma questo processo non è indolore. 

Le trattorie che chiudono sono una perdita per tutti

Ogni trattoria che chiude porta via posti di lavoro, filiere locali, ricette e cultura condivisa. 

Le catene che subentrano – pur legittime, non restituiscono lo stesso valore: acquistano meno prodotto dal territorio, formano meno professionisti, generano una ricchezza che spesso non resta in città.

L’efficienza non è sempre progresso. Una Verona che si omologa alle “catene del food” è una Verona più povera: perde identità, artigianalità e comunità. Difendere le trattorie e le osterie non significa per me opporsi al cambiamento ma guidarlo. 

Perché senza di loro Verona rischia di perdere non solo la sua cucina, ma un pezzo della sua anima.

*Referente Fiepet Confesercenti.
Verona