(Francesca Romana Riello) Martedì18 novembre, nella sede veronese della Uil, l’incontro con Marco Bognin ha riportato al centro una domanda che attraversa ospedali, ambulatori e RSA: quanto spazio resta, nella sanità di oggi, per l’umanità? La sensazione è che il sistema stia scivolando verso una “disumanizzazione” silenziosa, in cui chi assiste diventa un ingranaggio più che una presenza accanto al paziente.
L’importanza del rapporto umano e il ruolo degli OSS
Il punto di partenza è semplice: il personale non può essere ridotto a mero esecutore. Bognin lo ripete mentre descrive turni frenetici, mansioni che si accumulano e un modello organizzativo che misura solo ciò che è quantificabile, dimenticando ascolto, empatia, relazione.
In questo scenario gli OSS rappresentano forse la figura più esposta. A loro è affidata la parte più vicina al paziente: dalla cura quotidiana al sostegno emotivo.
Eppure il sistema li colloca alla base della piramide. Il contratto della sanità mette ordine nelle aree professionali, distinguendo tra laureati, assistenti, operatori e personale di supporto. Ma le retribuzioni restano basse: nonostante il personale sanitario copra notti, festività e carichi emotivi che avrebbero bisogno di riconoscimento.
La sanità in crisi per carenza di personale, fuga dal pubblico e sovraccarico emotivo
Il secondo fronte riguarda la carenza di personale, ormai sistemica. Mancano migliaia di medici di base e quelli che ci sono non costituiscono un filtro per gli ospedali e i Pronto Soccorso. Anzi. Idem per i pediatri di libera scelta. Gli infermieri cercano condizioni migliori nella libera professione o in aziende con stipendi più alti.
Il risultato è un Pronto Soccorso sovraccarico, luogo dove convergono problemi che nascono altrove: accessi impropri, aggressioni, turni massacranti. Gli operatori lamentano sistemi di sicurezza inefficaci e ore di straordinario che spesso non vengono pagate ma solo recuperate.
Sul fronte della formazione, l’idea di abolire il numero chiuso a Medicina convive con un nuovo sbarramento che trasferisce a Infermieristica gli studenti che non raggiungono i crediti richiesti. Una soluzione che rischia di penalizzare sia chi sogna di fare il medico sia chi sceglie consapevolmente di diventare infermiere, in un contesto già segnato dal calo delle iscrizioni.

RSA in difficoltà, liste d’attesa infinite e il nodo della privatizzazione
Non va meglio nell’assistenza agli anziani. Nelle IPAB il personale sanitario è inquadrato con un contratto pensato per le funzioni locali, non per la cura. Nelle RSA, dopo le riforme, ogni struttura può ospitare anche pazienti con patologie complesse: Alzheimer, disabilità gravi e situazioni che moltiplicano il carico di lavoro. Le rette, intanto, superano facilmente i 3.600 euro al mese, arrivando oltre i 5.000.
Sul fronte delle cure, le liste d’attesa diventano un ostacolo quasi strutturale: un anno per una TAC o una risonanza. Chi può paga. Chi non può, spesso rinuncia. In Italia oltre sei milioni di persone avrebbero bisogno di cure; tre milioni abbandonano per i tempi biblici di attesa .
La tendenza che preoccupa la UIL, e che oggi è emersa con forza nel confronto, è il rischio di trasformare la salute in un bene per pochi. La logica del risparmio, applicata come un riflesso automatico, frena le assunzioni e alimenta la privatizzazione.
Se la sanità perde il suo volto umano, perde il suo significato. Restituire dignità a chi cura è il primo passo per garantire dignità a chi viene curato.
