(di Gianni Schicchi)  Affascinante appuntamento con la musica francese, quello promosso da I Virtuosi Italiani al Ristori che si sono avvalsi per l’occasione di due ottimi solisti: il violinista Vincenzo Bolognese (un abituale frequentatore dei concerti dell’orchestra) e la giovane arpista Caterina Artuso. Musica francese in prevalenza di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento che ha chiamato in causa eminenti nomi come quelli di: Camille Saint Saens, Ernest Chausson, Claude Debussy, Darius Milhaud e George Bizet, dei quali sono state scelte alcune delle più significative pagine come, la Sarabande op. 93 n° 1 per orchestra del primo, ma soprattutto il Poème di Chausson per violino e piano (nella versione originale dell’autore), pagina capace di effetti incantatori e di morbidi impasti timbrici, in un contesto globale nel quale i confini tra reale ed irreale sembrano sfumare senza posa.  

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Poème che si è bene “imparentato” con la successiva Danse sacrée e danse profane di Debussy, per arpa e archi, formalmente tripartita, che spicca proprio per la sua assorta atmosfera arcaica, dovuta anche alla scrittura accordale (doux et soutenu) tesa a creare quella melodia armonica tipica dell’autore. Caterina Artuso si è qui pienamente confermata una strumentista di ottimo livello, particolarmente attenta ai valori espressivi della scrittura e protesa a tradurre la dimensione poetica del brano, con la dovuta delicatezza timbrica, con un’adeguata varietà di dinamiche ed una personale adesione alla varietà dell’invenzione melodica.  

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Il programma di sala si apriva con la novità assoluta A space of flower del trentenne fiorentino Francesco Darmanin, primo clarinetto dell’Esyo European Spirit of Youth Orchestra e della Camerata Strumentale Italiana città di Prato fondata da Riccardo Muti e diretta da Jonnatan Webb. Una partitura caratterizzata da una forte attenzione alla dimensione timbrica ed alla resa acustica, qualità che riflettono poi la sua formazione strumentale come clarinettista. Il suo linguaggio aperto alle diverse tendenze della musica contemporanea, fonde il gusto per la sperimentazione con una profonda sensibilità per la comunicazione espressiva.

Alberto Martini si è incaricato di dirigerla alla guida de I Virtuosi Italiani che erano “rinforzati” nell’organico dal pianoforte di Federico Donadoni e dall’arpista Cristiana Passerini. La parte terminale della serata si concentrava poi su Cinéma Fantasie op. 58b dal balletto Le Boeuf sur le toit di Milhaud, per violino e orchestra da camera dove il musicista francese recupera il senso coreutico del termine, con ritmi sincopati e richiami delle notti sudamericane; il senso di esaltazione dionisiaca conduce a momenti di vera e propria brutalità sonora e ad una visionaria spettacolarità.

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Vincenzo Bolognese è stupefacente nei diversi glissandi del pezzo, dove vi è abbondanza di percussioni (talvolta anche il pianoforte partecipa con una incisività violenta), con colori fauve dei fiati che determinano una sorta di gioiosa distorsione modernista della festa popolare. La particolare riuscita del pezzo sta anche nella forma ad arco e qui l’esibizione de I Virtuosi è stata davvero esaltante, con un inizio estatico, evocativo e anche quando poi la festa si accende e cresce per spegnersi infine sugli ultimi richiami.  

La serata si concludeva con lo spettacolare brano della Carmen Fantasy per violino di Bizet, trascritta da Franz Waxman, vera palestra anche per il più ferrato dei virtuosi in cui Vincenzo Bolognese ha dato fondo a tutte le sue straordinarie capacità. Un Bolognese che già con il Poéme di Chausson si era palesato per una particolare bellezza del suono, la misura espressiva di un fraseggio sempre alieno da volgarità, soprattutto con una tecnica piegata alla dimensione di quell’intimismo introspettivo che è la cifra di tutte le sue interpretazioni in terra veronese.  Serata ricca di spunti, estremamente avvincente, con ripetuti applausi ritmati al termine per il violinista.      

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