Alla scoperta dei giochi di un tempo in salsa coreana
(Antonio Fasol) A partire da i cosiddetti Boomer (nati negli anni del boom economico) tutti ci ricordiamo gli innocenti giochi di gruppo da strada o cortile molto diffusi appunto, tra i bambini e ragazzi di una volta…: da “Un due tre stella” al “tiro alla fune” a molti altri, che eventi consolidati come Il “Tocatì” a Verona ha contribuito a scoprire e diffondere con successo ormai internazionale e intergenerazionale.
Chi pensasse subito ad una felice seppur di nicchia rievocazione e rivisitazione in chiave moderna dovrà però ricredersi immediatamente in riferimento alla recente esplosione mediatica soprattutto tra i ragazzini di “giochi” in realtà mutuati da film o serie thriller a partire dal famigerato “Squid Game”, di origine Sud Coreana ideato in stile autobiografico da Hwang Dong-hyuk.

Si tratta infatti di una serie prodotta da Netflix dove 456 protagonisti, accomunati da storie fallimentari economiche e sociali (specchio della società coreana), cercano riscatto sfidandosi, appunto, con vari giochi di matrice infantile (anche tipicamente coreani come, appunto, il “Gioco del calamaro “da cui prende il nome la serie stessa) con la “sola” variante che il giocatore perdente viene tout court ucciso brutalmente!
Il mix che ne segue fatto di narrativa tensionale ed eccitante unitamente alla simbologia iconografica che pesca nell’immaginario di grandi e piccini, a cui si aggiunge l’uso mirato di divise simil-militari tipicamente anaffettive, colonne sonore volutamente dissonanti (musica classica d’autore su scene raccapriccianti), linguaggio e comportamenti standardizzati ed “esclusivi”, ed infine ambientazioni esotiche in isole orientali attraenti da esplorare.
Oltre alla enorme diffusione tra i ragazzini e la spinta mediatica mondiale che ha indotto milioni di persone a scaricare la serie già nei primi giorni di pubblicazione (la prima versione italiana risale a Settembre 2021.
La seconda a Dicembre 2024 e la terza ed ultima a Giugno 2025), sono questi, appunto, i tratti caratteristici che, oltre a specialisti psicologi, psichiatri e sociologi del settore, hanno indotto anche noi del GRIS (Gruppo Ricerca e Informazione Socio-religiosa), che di norma ci occupiamo precipuamente di sette e movimenti religiosi alternativi, ad occuparcene.
Tutto ciò anche in analogia ad altri “giochi” pericolosi diffusi anni fa tra gli stessi minori, quali Blue Whale (una serie di sfide lanciate individualmente via Web fino al suicidio finale) e Charlie charlie (l’uso delle cosiddette tavole ouija con matita che “si muove” con l’aria indicando la “voce degli spiriti”), proprio per la straordinaria ed inquietante analogia a livello psico-comportamentale con le forme di manipolazione mentale praticate da gruppi, appunto, a spiccato carattere ideologico e settario, ben note agli esperti del settore.
Innanzitutto il forte individualismo egoistico di fondo, che rischia di trovare terreno fertile nei minori e adolescenti in fase fisiologicamente idealizzante e onnipotente; quindi la pericolosa semplificazione “virtuale” tra vita e morte procurata ai perdenti, con prevedibili degenerazioni verso soggetti oggetto di bullismo.
Inoltre la facile ma dannosa associazione, mutuata dalla società adulta in particolare coreana attuale ma abbastanza generalizzabile, tra successo economico, forza e scaltrezza sociale a scapito del prossimo, in una logica aberrante quanto letterale di “mors tua vita mea”; infine l’etero-direzionalità asettica e disumanizzante, analoga appunto a quella presente in molti gruppi settari, che porta a concludere pessimisticamente con l’ultimo episodio che “nonostante tutti gli sforzi nobili, il mondo va avanti come prima”.
Quali antidoti, per così dire, a queste mode apparentemente “giocose” e che spesso sfuggono al controllo, spesso peraltro distratto, dei genitori, ma anche degli insegnanti, possiamo consigliare innanzitutto di svelare “chi sta dietro” a partire dagli autori, per scoprire spesso storie personali di deprivazione e fallimenti sociali e familiari, utili a demitizzare il fenomeno alla radice; favorire quindi la ricerca di valori e divertimenti distinti dal denaro e dal successo in sé, spesso troppo respirati in famiglia e nella società, magari riscoprendo proprio la vera natura dei giochi di gruppo “antichi” ma nostrani, troppo spesso relegati a rievocazioni di sapore “medievale”!
Infine, analogamente a quanto avviene nei gruppi settari, l’importanza determinante della testimonianza di persone e ragazzi che hanno vissuto l’esperienza e magari ne possono svelare punti di vista diversi, anche attraverso il racconto di storie non sempre a lieto fine di chi non era stato “vaccinato” al virus, talora purtroppo letale, del “calamaro” dagli occhi a mandorla.
*GRIS diocesano Verona
