(Gianni Schicchi) Ecco un eccellente concerto che esce dai soliti binari “scontati” e che indica altresì come i confini della classica siano ben più vasti di quanto siamo abitualmente portati a credere. Il penultimo concerto che la Fondazione Arena offriva per questo fine novembre comprendeva brani del moravo Leos Janacek, del russo Alexandr Glazunov e del tedesco Richard Strauss: un trio dalla pregevole produzione, sconfinante nel Novecento. A dirigerlo la leggendaria ex-viola dei Berliner, Wolfram Christ (ha rimpiazzato il previsto Riccardo Bisatti), con il sassofonista Gaetano Di Bacco, in veste di solista

Un concerto poi iniziatosi con la rara Suite op. 3 per orchestra d’archi di Janaceck, dal lirismo assorto e talvolta spinto al limite del fervore cui si addice bene anche il titolo alternativo di Serenata, per la tornita e brillante orchestrazione. La concertazione di Christ ha restituito esemplarmente il proteiforme universo sonoro di Janacek, dosandone con precisione tensioni e rarefazioni. Il direttore tedesco ha padroneggiato con intelligenza analitica una scrittura orchestrale segnata da fratture e irregolarità, ma capace di vibranti slanci e bagliori emotivi, trasmettendone così l’energia pulsante senza appesantire mai il respiro.    

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A Janacek succedeva il pezzo per sassofono contralto di Glazunov, l’ultimo suo concerto composto nel giugno del 1934, dal carattere rapsodico estremamente libero, in perfetto equilibrio fra momenti melanconici ed altri più brillanti, con un’orchestra di soli archi che gioca un ruolo del tutto secondario. Glazunov dimostra comunque una grande padronanza della tecnica sassofonista – scriverà anche un brano da camera per quattro sassofoni, strumenti sentiti di frequente negli ultimi anni di vita parigina – con frequenti cambi di tempo, l’ampia tessitura utilizzata, i passaggi di velocità e i glissandi che pongono all’esecutore diversi problemi come nella cadenza sempre più agitata, al centro della partitura, prima di un finale fra figure di agilità abbastanza convenzionali. 

Una singolare partitura, che unisce virtuosismo e cantabilità in appena quindici minuti, con Di Bacco che ne dà una interpretazione raffinata, pienamente compiuta per quanto concerne la resa timbrica e la specifica singolarità della scrittura, con una eccellenza di sfumature e di scatti ritmici da grande esperto. Grandi ovazioni per lui al termine ripagate da un virtuosistico bis: il terzo Capriccio del catalano David Salleras, quanto mai impegnativo che ha reso ancora più appagate la sua esibizione.        

Concludeva il concerto, la Metamorfosi studio per venti tre archi di Richard Strauss, capolavoro che segna l’avvio di un’ultima maniera del musicista ultraottantenne tedesco, nella rinuncia alle possibilità foniche e timbriche proprie della grande orchestra, cui corrisponde l’abbandono di ogni estroversione descrittiva o parodistica. L’organico insolito è impiegato da Strauss ad ottenere un’estrema espressività e al tempo stesso una grande e intima compostezza, senza che problemi di colore o gesti dinamici vengano mai a turbare lo svolgersi di una polifonia strumentale dalla tessitura quanto mai complessa. 

L’opera consta infatti di un’interrotta rielaborazione (le metamorfosi del titolo) di due incisi tematici, di otto misure ciascuno, il secondo dei quali tratto dal tema della Marcia funebre dell’Eroica di Beethoven. Senza dar origine ad una serie di variazioni in senso stretto, il nutrito dialogo a più voci dei ventitre archi solisti scava nel materiale tematico sottoponendolo a torsioni melodiche, armoniche e ritmiche tali da farne, dietro l’apparenza intimista, una delle composizioni formalmente più ricercate di Strauss. 

Anticipando il commiato dei Quattro ultimi Lieder, Strauss sembra qui intonare l’epicedio di sé stesso approdando ad una serenità venata di nostalgia, ad una scrittura aerea calibratissima, dove la struttura è quella di un Adagio ma non troppo, con una sezione rapida posta nella parte centrale. Pagina che gli archi della Fondazione, trascinati dalla spalla di un commosso Peter Szanto (colleghi e pubblico lo hanno salutato in vista del suo prossimo pensionamento) restituiscono con una bellezza di impasti ed un’intensità espressiva davvero straordinarie, nonostante il ritmo sostenuto imposto da Christ nella seconda sezione della partitura. Vivo il successo al termine con quattro chiamate alla ribalta per il direttore.