(di Francesca Romana Riello)
La Plastica che rinasce, rivive a Montorio sotto nuova forma. Il materiale plastico non fa pensare a qualcosa di vivo, invece, entrando nel laboratorio che sta nascendo alla Casa Circondariale di Montorio, la sensazione è esattamente quella. Una materia che rinasce, insieme alle persone che la lavorano. Un progetto che mette in fila ambiente, dignità e futuro.
Si chiama Precious Plastic ed è uno di quei progetti che non si spiegano in una sola frase. Serve vederlo. O almeno ascoltare le persone che ci stanno lavorando: la Fondazione Cariverona, il Comune di Verona, Reverse, Amia, Meg Srl e una rete di realtà che, insieme, tengono in piedi un’idea semplice e complessa allo stesso tempo. Ridurre lo scarto, creare competenze, aprire una porta a chi spesso vive chiusa.
Dentro al laboratorio della plastica che rinasce
Il laboratorio entrerà davvero in funzione nel 2026, ma la macchina si è già accesa. I primi pannelli in plastica riciclata sono usciti da poche settimane. Nel mezzo del cortile, le cassette piene di scarti colorati ricordano quanto rifiuto generiamo ogni giorno. Non è un problema, qui. È materiale.
“Questo progetto, racconta Andrea Di Fabio di Cariverona, tiene insieme tre strade: l’ambiente, la formazione dei detenuti e un’idea sociale di carcere aperto, generativo. È un prototipo di futuro che può camminare con le sue gambe”.
Chi entra nella stanza dove si tritura la plastica sente l’odore acre del materiale che cambia forma. Una scena molto concreta, niente di patinato. Ma è proprio lì che si capisce il senso: dalla frammentazione nasce qualcosa.
Una seconda possibilità per tutti
Il Comune di Verona non si limita a sostenere economicamente il progetto: guarda già a dove potranno finire questi manufatti, dentro i percorsi di rigenerazione urbana.
“Non si scarta niente e nessuno, sottolinea l’assessora Luisa Ceni e questo vale sia per la plastica sia per le persone. A ogni persona va offerta una seconda possibilità. Lo dice la Costituzione, ma lo dice anche il buon senso”.
La direttrice del carcere di Montorio, Maria Grazia Bregoli, annuisce mentre parla: “Il diritto al lavoro vale per tutti. E la pena deve rieducare, non dimenticare. Questo progetto è una sintesi di questi principi. Non è solo inclusione: è civiltà, anche dal punto di vista ambientale”.
Parole che richiamano un’altra riflessione emersa nelle recenti iniziative cittadine sull’ambiente la trasformazione passa spesso da luoghi che non ci aspettiamo.

Una filiera che funziona davvero
A tenere insieme tutti questi pezzi è Reverse, che in carcere lavora da anni con la falegnameria Reverse In.
“È una filiera sostenibile e inclusiva, spiega Federica Collato, che può essere replicata anche altrove. Quando pubblico, privato e terzo settore smettono di correre ognuno per conto proprio, gli effetti si vedono”.
Accanto a Reverse ci sono Amia, che crede nel progetto e lo cofinanzia, e Meg Srl, che porta il suo know-how tecnico e la plastica da riciclare. E poi Giracose Odv, Fondazione Edulife, Fondaziosodo, My Planet 2050 Aps. Una rete fitta, che però ha un obiettivo molto semplice: creare opportunità reali, non simboliche.
Oggi i pannelli riciclati sono ancora pochi, quasi dei campioni di ciò che sarà. Ma raccontano già molto. Raccontano che anche da un cortile chiuso si può costruire qualcosa che parla alla città. E che la plastica, come le persone, può cambiare forma se qualcuno le dà il tempo e lo spazio per farlo.

