La Cgil denuncia: una beffa
Aumenti che si riducono a pochi euro, rivalutazioni ampiamente erose dalle tasse e una politica economica che continua a penalizzare i redditi fissi. È il quadro delineato dallo Spi Cgil di Verona dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 28 novembre del decreto del Ministero delle Finanze che fissa all’1,4% la perequazione delle pensioni per il 2026, calcolata sull’inflazione registrata dall’Istat nel 2025.
Una misura che, secondo il Segretario generale Spi Cgil Verona Adriano Filice, si traduce nell’ennesimo arretramento del potere d’acquisto dei pensionati: «La politica economica del governo continua a colpire redditi fissi e pensioni con scelte insufficienti e inique. La rivalutazione non recupera l’inflazione e il taglio delle tasse è inefficace e diseguale. Il risultato è che i pensionati, pur ricevendo un piccolo aumento nominale, ne restituiscono una parte significativa al fisco».
Perequazione all’1,4%: aumenti minimi che si dissolvono nelle tasse
Secondo quanto stabilito dal Ministero, dal 1° gennaio 2026 le pensioni saranno rivalutate dell’1,4%. Una percentuale che dovrebbe compensare, insieme allo 0,8% già riconosciuto nel 2025, l’aumento del costo della vita. Ma per Filice si tratta di «una pia illusione»: bollette, spesa alimentare, farmaci e servizi sanitari continuano a correre a ritmi ben superiori.
Gli esempi elaborati dallo Spi Cgil mettono in luce il peso del drenaggio fiscale, ovvero il meccanismo per cui gli aumenti lordi vengono in buona parte reassorbiti dall’Irpef.
Pensioni minime: +3 euro al mese
Il trattamento minimo passa da 616,67 euro del 2025 a 619,80 euro nel 2026 con un aumento reale netto: appena 3,13 euro al mese
Infatti, oltre all’1,4% di perequazione, le minime beneficiano anche dell’“incremento transitorio”, fissato però per il 2026 a un modesto 1,3%, contro il 2,2% dell’anno precedente.
Per chi supera la no tax area gli aumenti finiscono all’Irpef
Per le pensioni oltre gli 8.500 euro annui (soglia di esenzione fiscale), gli incrementi vengono falcidiati dalle imposte.
Esempi concreti:
Con un pensione lorda da 1.000 euro aumento lordo di 14 euro, netto di 9,88 euro (senza considerare addizionali regionali e comunali)
Con una pensione lorda da 1.500 euro aumento lordo di 21 euro, netto di 14,82 euro aumento lordo di 33,60 euro, aumento netto di 26,37 euro
Con una pensione lorda da 2.400 euro pensione di (1.864,47 netti) nel 2026 diventerà di 2.433,60 euro (+33,60 euro mensili)
ma, al netto dell’Irpef, l’aumento si fermerà a 26,37 euro mensili.
La nuova aliquota al 33% non compensa il drenaggio fiscale
Il governo ha previsto per il 2026 la riduzione dell’aliquota Irpef dal 35% al 33% per i redditi tra 28.000 e 50.000 euro. Ma anche questa misura, secondo lo Spi Cgil, è inefficace.
Con una pensione lorda da 2.800 euro l’aumento lordo è di 38,66 euro mentre quello netto è di 37,59 euro
Il taglio dell’aliquota non basta nemmeno a compensare il drenaggio fiscale. Solo chi ha una pensione lorda di almeno 3.200 euro mensili otterrà un vantaggio effettivo: +43,32 euro
«Una quota non trascurabile della rivalutazione finisce nelle casse dello Stato, trasformando la perequazione in uno strumento di recupero del gettito fiscale, anziché in un reale sostegno al potere d’acquisto dei pensionati», denuncia Filice.
Dal 2022 al 2026: il quarto dell’aumento se ne è andato in tasse
Nel quadriennio 2022–2026 l’inflazione cumulata è salita del 16,46%. Le pensioni fino a quattro volte il minimo hanno ricevuto rivalutazioni lorde equivalenti, ma il saldo reale è molto diverso Per le pensioni da 800–1.000 euro circa un quarto dell’adeguamento è stato perso in tasse. Per quelle da 1.500–2.000 euro il recupero netto real è di poco inferiore al 15%
Nonostante la perequazione, il potere d’acquisto continua a scendere.
Spi Cgil: servono interventi strutturali
Per Filice, l’attuale sistema fiscale non regge più:
«È evidente che il carico fiscale grava quasi esclusivamente su lavoratori dipendenti e pensionati. Se vogliamo finanziare davvero sanità, welfare, casa e non autosufficienza, bisogna chiedere un contributo a chi oggi paga troppo poco: grandi patrimoni, rendite finanziarie, extraprofitti. Continuare a chiedere sacrifici ai pensionati non è più sostenibile».
Lo Spi Cgil chiede: maggiore equità fiscale; aumento delle detrazioni per pensioni; defiscalizzazione delle quote di perequazione; una riforma che faccia pagare tutti, non sempre gli stessi.
