(di Gianni Schicchi) Concerto pressoché cameristico, l’ultimo della Fondazione Arena con un organico orchestrale ridotto, prevalentemente di fiati, per un programma che presentava, oltre alla nuova commissione affidata al pianista siracusano Orazio Sciortino (Sentieri della memoria), le prime esecuzioni al Filarmonico del Concerto coreografico Aubade di Francis Poulenc e la Prima Sonatina di Richard Strauss sotto la direzione del debuttante (al Filarmonico) Enrico Fagone.

Il musicista siracusano, spesso alle prese anche col podio, si è potuto esprimere inizialmente nel celebre brano di Poulenc; un compositore (all’interno del Gruppo dei Sei) che pur aderendo in linea di principio alla reazione contro il soggettivismo romantico e impressionista, mantenne di fatto una fresca liberalità nei confronti di ogni suggestione. Tra una boutade musicale proveniente dalla strada, o dalla sala da ballo, dal jazz, o con qualche malizia sbarazzina in parte derivata da Satie, Poulenc è in generale congeniale alla musicalità francese.  Di qui l’immediata godibilità della sua produzione, in particolare quella cameristica, vocale e strumentale, la cui estetica è tersa al massimo, intimamente rispondente ad una personalità istintiva ed insieme amante del gioco, della chiarezza strutturale, senza rifiutare la vena teneramente sentimentale che fa volentieri l’occhietto ad una musica leggera, spesso epidermica, ma fondamentalmente autentica. 

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In Aubade l’amore alla danza si accompagna poi al piacere del puro divertissement parigino e dalla fusione dei due elementi associati nasce un lavoro di spirito settecentesco (leggi stile galante), di struttura cameristica, le cui fila del discorso sono tenute in prevalenza dal solista. La serie dei tempi, numerosi ma di breve respiro, come vuole lo schema del concerto grosso, è contrassegnata dalle indicazioni coreografiche riferentesi alla storia di Diana cacciatrice. Nei vari episodi il pianoforte non assume mai una caratterizzazione virtuosistica, anche se il suo impegno è arduo, ma si attiene a un lucido e vivace gioco dialettico con gli altri strumenti, spesso arricchito da preziose cesellature timbriche, come nell’Andante (Variazione di Diana), di cui Sciortino ne ha colto perfettamente tutta la raffinatezza per certe suggestioni mozartiane del tema principale. 

Nel nuovo brano commissionatogli dalla Fondazione Arena il musicista siracusano esplora invece quel momento in cui un suono riaccende un’immagine, un luogo, un dettaglio che si pensava di aver dimenticato. La memoria insomma, non come nostalgia, ma come movimento: elementi che ritornano, si trasformano, cambiano prospettiva mentre passano dal pianoforte all’orchestra. Una linea unica, continua, costruita con grande naturalezza e pagina che meritava ovviamente di essere riascoltata per darne un giudizio più particolareggiato e più rispondente alla complessa poetica dell’autore. 

Molti gli applausi rivoltigli dal pubblico a cui è andato un bis delicatissimo, un canto popolare trascritto da Chopin col quale Sciortino si è mostrato pianista di grande abilità e squisita sensibilità. 

C’era in programma anche la Prima Sonatina op. 35 per 16 strumenti a fiato di Richard Strauss, nata tra il 24 marzo e il 22 luglio 1943 col titolo Aus der Werkstatt eines Invaliden: dall’officina di un invalido, in un momento di assoluta insicurezza per un musicista impegnato al di là di qualsiasi atto espressivo – dagli umori personali dovuti ad una prolungata sequenza di malattia, riparato a Garmisch per il rischio di bombardamenti su Vienna – ma frutto di delizie segrete, con il suono profondo e denso dell’Allegro, la grazia della Romanza e del Minuetto e il colore brillante del Finale. 

Brano poi intimamente complementare con le Metamorfosi suonate la settimana scorsa al Filarmonico, pur se costituito da movimenti separati secondo canoni interpretati con ampia libertà delle forme classiche, che non disdegna un aperto ricorso ai procedimenti costruttivi del più artigianale contrappunto, come il trattamento fugato del tema iniziale al termine dello sviluppo nel terzo movimento. O nell’aumento dei valori temporali che si riscontra all’interno del primo movimento, nella parte degli strumenti gravi, durante l’esposizione del tema iniziale. Passaggi questi di grande soddisfazione per gli esecutori, anche se più difficili da cogliere all’ascolto.

Gloria per tutti al termine, a dimostrazione del valore di un gruppo che ha raggiunto equilibri e compattezza davvero ragguardevoli, indicati poi singolarmente al termine dall’entusiasta direttore Enrico Fagone (bacchetta molto precisa e attenta nei tempi): Noi pure ne vogliamo elogiare per la lucida esecuzione, trascinati dalle prime parti di: Pier Filippo Barbaro (flauto), Francesca Rodomonti (straordinario oboe), Giampiero Sobrino (clarinetto) con Bruno Matteucci al basso, Lanfranco Martinelli per i  fagotti e  Andrea Leasi per i quattro corni.

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