(David Benedetti*) Nelle aule italiane si incontrano ogni giorno due mondi che parlano lingue diverse.   

Da una parte c’è la Generazione Z, cresciuta tra smartphone, contenuti brevi, connessioni continue e una sensibilità nuova verso identità, fragilità e futuro. Dall’altra ci sono gli insegnanti, spesso formati in un’epoca analogica, abituati a ritmi lenti, alla lettura profonda e a una comunicazione meno immediata. L’incontro tra questi due universi non è impossibile, ma è complesso: richiede tempo, ascolto e la volontà di uscire dalle proprie abitudini.

Gli studenti chiedono senso, non solo compiti; vogliono capire perché studiare e dove li porterà ciò che imparano. Gli insegnanti, invece, cercano attenzione, impegno, dedizione: valori che sentono minacciati da un mondo di distrazioni perenni. E così, spesso, ciascuno percepisce l’altro come distante: i professori come rigidi depositari di regole, i ragazzi come superficiali e irraggiungibili.

giovane insegnante arrabbiata che indossa occhiali carta strappata seduta alla scrivania con strumenti scolastici classe

Il dialogo con la generazione Z è produttivo

Eppure, quando il dialogo riesce, qualcosa si apre. Succede quando un docente accetta di non essere solo un trasmettitore di contenuti, ma un mediatore culturale; quando uno studente scopre che dietro un rimprovero non c’è vuota autorità, ma una persona che ti sta aiutando a crescere.                                   
La scuola del presente è un luogo dove le generazioni imparano a negoziare significati e ad adattarsi reciprocamente. In un tempo veloce, la sfida è rallentare: guardarsi negli occhi, capire da dove si viene e dove si vuole andare. È in questo spazio fragile che insegnanti e studenti possono finalmente riconoscersi, non come avversari, ma come alleati nella costruzione del futuro.

*insegnante Liceo Scientifico