Un fenomeno in crescita tra neurobiologia, cultura e business

Si tende spesso a liquidare i videogiochi come semplici passatempi moderni, l’evoluzione digitale dei tradizionali giochi da tavolo trasferiti sugli schermi di computer e smartphone. Una definizione rapida, comoda, ma profondamente insufficiente per descrivere un fenomeno che negli ultimi anni ha assunto contorni sempre più preoccupanti.
È infatti emerso un legame significativo tra dipendenze comportamentali, gioco d’azzardo patologico e gaming online, come evidenziato anche durante la Conferenza Nazionale sulle Dipendenze organizzata dal Dipartimento contro la droga e le dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri a inizio novembre. In quell’occasione il prof. Massimo Gandolfini, neurochirurgo, psichiatra e direttore del Dipartimento di Neuroscienze della Fondazione Poliambulanza di Brescia, ha analizzato gli aspetti neurobiologici, culturali e sociali del problema.

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Quei videogiochi che portano al gioco d’azzardo

Oggi è sempre più chiaro che le dipendenze legate ai videogiochi possono assumere forme gravi, paragonabili a quelle da alcol o sostanze stupefacenti. Il mondo del gaming è un intreccio complesso di tecnologia, stimoli sensoriali e meccanismi psicologici in grado di attivare nel cervello gli stessi circuiti del piacere coinvolti nelle dipendenze tradizionali. Luci, colori, immagini e dinamiche di gioco stimolano la produzione di dopamina, ossitocina ed endorfine, i neuro-ormoni che generano gratificazione e spingono a ripetere il comportamento.

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I device, inoltre, non sono semplici strumenti elettronici: possono diventare veri e propri oggetti affettivi. Lo smartphone, per esempio,- nota il prof. Galndolfini- è percepito da molti bambini — anche molto piccoli — come un interlocutore emotivo. La reazione di rabbia o pianto quando viene tolto è la manifestazione di una necessità compulsiva d’interazione, un segnale che richiama da vicino i meccanismi tipici della dipendenza.

Un ulteriore rischio deriva da alcune dinamiche interne ai videogiochi. In particolare, le loot box  -scatole virtuali contenenti premi casuali acquistabili anche con denaro reale- riproducono a tutti gli effetti i meccanismi del gioco d’azzardo, facilitando il passaggio dal gaming al gambling. Questo slittamento, osserva Gandolfini, non è raro, soprattutto nei titoli costruiti per incentivare queste dinamiche.

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Il business che gravita attorno al gioco

A rendere il quadro ancora più allarmante è il business che ruota attorno al gioco. Nel 2024, in Italia, il settore ha raggiunto un valore di 157 miliardi di euro, con perdite complessive pari a 22 miliardi. In media ogni italiano ha speso 2.658 euro, perdendone 366. Sono quasi 2 milioni le persone considerate a rischio. I giovani rappresentano la fascia più vulnerabile, e il gioco online è il principale veicolo di esposizione: il 45% dei sedicenni ha giocato d’azzardo, contro una media europea del 23%. E le leggi non bastano a proteggere i minori: ben 840.000 studenti minorenni hanno partecipato ad attività di gioco d’azzardo, di cui 160.000 online.

Oltre alle loot box, un altro elemento critico è il sistema pay to win, che permette di acquistare vantaggi con denaro reale. Anche questo meccanismo rappresenta un ponte diretto verso il gioco d’azzardo, tanto che — secondo i dati illustrati da Gandolfini — il 59% dei giovani che vi sono esposti sviluppa una dipendenza da gambling.

Il fenomeno, dunque, va ben oltre il semplice intrattenimento. Riguarda la salute mentale, i meccanismi neurobiologici, l’educazione dei più giovani e un’industria miliardaria che sfrutta tecniche di coinvolgimento sempre più sofisticate. Comprenderlo a fondo è il primo passo per affrontarlo in modo efficace, proteggendo soprattutto le fasce più fragili della popolazione.