(Antonio Fasol*) Nell’attuale cultura sociale fortemente relativistica se non prevenuta verso ogni forma di religiosità “istituzionale” è abbastanza frequente imbattersi in dibattiti mediatici dove vengono disinvoltamente accomunate dalla critica di speculazione le varie forme di magia a pagamento con le nuove spiritualità fino alla religiosità in generale.
Se è vero che agli occhi di un non credente, e ancor più di un laicista fedele all’ideologia ateistica militante, ogni manifestazione a carattere religioso, a qualunque religione appartenga, è in ultima analisi assimilabile a qualsiasi forma di superstizione e similia, onestà intellettuale vorrebbe che venissero distinte almeno “laicamente” le diffuse forme di magia più o meno occulta a pagamento, dalle prestazioni a carattere propriamente religioso.
Ciò per almeno due ordini di motivazioni: innanzitutto per il carattere esplicitamente truffaldino di gran parte delle prime, dal momento che promettono espressamente e ingannevolmente, a fronte di ingenti richieste di denaro, effetti fisici o psicologici quali guarigioni, successo, ecc. Mentre i riti religiosi, se autentici, presuppongono la libertà di partecipazione e la “fede” nel trascendente pure libera, come le eventuali offerte economiche.
Inoltre per la mancanza di proporzionalità spesso esistente nei “costi” di oggetti o “servizi” offerti dalle prime, rispetto ai reali costi materiali, in forza di presunte “energie” e potenzialità caricate su semplici candele colorate, polveri, sali da cucina, ecc.
In effetti, uno dei criteri più universalmente validi al fine di un efficace discernimento di autenticità, seppur limitato alla sfera sociale e materiale, di una aggregazione religiosa, è costituito dall’effettiva trasparenza nella raccolta dei contributi, nell’utilizzo dei fondi e nella distribuzione degli stessi all’interno: in sostanza, nella gestione economica.
Essa comprende innanzitutto la gestione economico-finanziaria, che non di rado comporta la gestione di capitali, risorse economiche e patrimoniali anche ragguardevoli, proporzionalmente alle dimensioni dei gruppi, alcuni dei quali, peraltro, non fanno mistero di non aver fatto “voto di povertà” e di ambire, seppur di norma secondariamente rispetto alla mission spirituale, ad ottenere ricavi economici in cambio dei servizi resi, rispondendo peraltro al più “terreno” e universalmente condiviso principio che “pecunia non olet”!
Tale complessa gestione economica è di norma accentrata sotto la diretta egida del leader, oppure demandata ad appositi comitati di gestione o organismi similari, non di rado equiparati, se non di nome almeno di fatto, a dei veri e propri consigli di amministrazione.
E’ comunque sintomatico che alcuni movimenti, anche di effettiva o presunta natura religiosa, siano nati e/o ancora configurati giuridicamente come mere società editoriali, “società per azioni” (spesso multinazionali), o “a responsabilità limitata”, oppure genericamente come “centri di formazione personale”.
Ciò che altresì stigmatizziamo in questa sede è la tendenza diffusa ad estorcere denaro e beni ai seguaci in tutti i modi possibili, dimostrando un impegno ed una perseveranza oltre misura, unitamente all’uso di tecniche di persuasione paragonabili a quelle utilizzate per l’indottrinamento.
Quella della propensione a carpire denaro è una caratteristica riscontrabile, seppur con diversa intensità, all’interno dei più diversi gruppi appartenenti a varie categorie di aggregazioni: da quelle di matrice cristiana alle psicospiritualiste, dai movimenti orientaleggianti a quelli di ispirazione new age, da quelli esoterici e occultisti fino ai piccoli movimenti locali e di frangia legati a leader carismatici di varia provenienza.
Le tecniche utilizzate sono, come già detto, le più disparate: per alcune tipologie di gruppi, si parte innanzitutto dalla fase preliminare di reclutamento, per lo più gratuita (con lo stesso scopo accattivante del primo numero di lancio di una serie infinita e costosa di collezionismo da edicola!), durante la quale non di rado vengono sondate, attraverso questionari mirati o indagini riservate, le risorse economico finanziarie (attuali e potenziali) del futuro affiliato, al fine di una più accurata selezione.
Nelle fasi successive i metodi variano a seconda del grado di coinvolgimento del soggetto nel gruppo in quanto, analogamente ai contenuti dottrinali non facilmente “digeribili” in un sol colpo, anche le richieste di esborsi economici vengono graduate in funzione del grado di disponibilità mentale e di fiducia raggiunto, approfittando di eventuali momenti di particolare fragilità e vulnerabilità personali.
Il tutto, grazie alla sperimentata esperienza che, una volta “conquistata” l’anima e la mente del soggetto, il portafoglio e il conto bancario si “apriranno” quasi automaticamente! Senza il bisogno, quindi, di esporsi eccessivamente compromettendosi con richieste troppo palesemente “materiali”.
Diffusa è poi la prassi di esercitare pressioni di vario genere per convincere gli adepti ad effettuare donazioni in denaro, lasciti o intestazioni di beni immobili, terreni e persino assicurazioni private, nelle loro disponibilità immediate o future (per eredità), a favore del movimento, mediante una paziente opera di “condizionamento” personale, fatta di promesse di “benedizioni” future ma anche di minacce sulle possibili spiacevoli conseguenze in caso di rifiuto. In alcuni gruppi spiritualistico-carismatici è in uso la prassi, durante i riti religiosi, di consegnare direttamente buste con banconote ben in evidenza, con successivo monito pubblico per chi non fosse stato abbastanza generoso, e plauso benedicente per i donatori delle banconote più consistenti!
Tutte operazioni, ovviamente, stipulate con i dovuti crismi formali delle necessarie procedure legali e delle relative registrazioni notarili, per la sottoscrizione delle quali sono puntualmente disponibili professionisti di fiducia, anche per cogliere al volo le occasioni propizie ed evitare possibili ripensamenti futuri.
Tale graduale e subdola opera di spoliazione dei propri beni personali, andrà, tra l’altro, ad incrementare enormemente i costi di una eventuale uscita dal gruppo, intesi non solo in termini psicologici di faticosa scelta personale, ma anche, più concretamente, nel vedersi letteralmente mancare la terra sotto i piedi con la prospettiva di dover ricominciare tutto da capo.
Sarebbe pertanto auspicabile che, come legittimamente richiesto in ogni ambito “produttivo”, a fronte di un servizio reso, sia pure di natura spirituale, corrispondesse sì un corrispettivo “compensativo”, specialmente se tale servizio comportasse consumo di beni materiali o spese vive, ma che almeno questo fosse obiettivamente commisurato, per natura ed entità, al servizio stesso. E non, come invece molto spesso si verifica, venga genericamente rimborsato mediante somme di denaro “forfetarie” o ricambiato in “prestazione di servizi” oppure, infine, trasformato in generica “offerta” di mano d’opera gratuita. Ciò per salvaguardare e tutelare il cliente “consumatore” ma anche, in ultima analisi, nell’interesse dell’aggregazione stessa e della sua credibilità sociale e civile, prima ancora che religiosa.
*Presid. GRIS Verona
