Sappiamo bene che inglesi e francesi non sono divisi solo dalla Manica ma anche da una diversa interpretazione del linguaggio e del peso che danno alle proprie espressioni. Gli inglesi tendono ad apprezzare molto gli “understatements” ovvero a dire le cose sottovoce, con un filo di umorismo freddo e facendo finta che nulla stia accedendo. Per esempio, il Duca di Wellington a Waterloo stava a cavallo con Lord Uxbridge al suo fianco, mentre le artigliere di Napoleone bersagliavano le linee britanniche. Una palla di cannone, rimbalzando, tranciò di netto una gamba di Uxbridge, a livello della coscia. Lui exclamò: “Mio Dio, signore, ho perso una gamba”. Wellington si volse e disse “Mio Dio, così l’avete persa”. Uxbridge morì pochi secondi dopo, dissanguato.
Lo stesso si può dire fra americani e inglesi. L’equivoco è sempre dietro l’angolo, e giorni fa mi sono imbattuto in un classico esempio di questo stato delle cose. Durante la guerra di Corea, nell’aprile del 1951, la linea delle Nazioni Unite lungo il fiume Imjin fu colpita dalla travolgente offensiva cinese, un assalto a sorpresa con ondate umane che coinvolse circa 30.000 soldati della 63ª armata cinese. Il figlio di Mao Tsetung perse la vita durante quella offensiva, ma sappiamo che il Grande Timoniere non versò neppure una lacrima per lui.
L’attacco principale colpì direttamente il 1° battaglione britannico, il Gloucestershire Regiment, i “Glorious Glosters”, che contava circa 600 uomini.
L’incomprensione
Mentre i Glosters combattevano disperatamente, i cinesi li spinsero in un perimetro sempre più ristretto sulla collina 235 (oggi conosciuta come Gloster Hill). Il comandante della brigata britannica, il brigadiere Tom Brodie, chiamò il suo superiore americano, il generale Robert H. Soule, per riferire della loro situazione disastrosa.
Il brigadiere Brodie, aderendo alla classica tradizione militare britannica dell’uso di eufemismi come segno di coraggio e di sprezzo del pericolo, riferì la situazione con la ormai celebre frase: “Le cose sono un po’ complicate qui, signore”. Addirittura usò il termine gergale “sticky” ovvero “le cose sono un po’ appiccicose”.
Il generale Soule, abituato allo stile di comunicazione più diretto dell’esercito americano, interpretò questa frase nel senso che gli inglesi stavano affrontando una dura battaglia, ma stavano mantenendo la loro posizione e che se la cavavano bene, una situazione che non giustificava un ritiro immediato o l’invio di rinforzi pesanti.
Un risultato scioccante
L’incomprensione fu fatale agli inglesi. Credendo che i Gloster potessero continuare, gli fu effettivamente ordinato di combattere fino alla morte o alla cattura, per guadagnare tempo affinché il resto delle forze dell’ONU potesse riorganizzarsi e stabilire una nuova linea difensiva, salvando la capitale coreana, Seul.
Dopo quattro giorni di brutali attacchi, i Glosters, in inferiorità numerica di 30 a 1, riuscirono a infliggere perdite impressionanti ai cinesi, male armati e peggio comandati, ebbero migliaia di morti, ma le munizioni, il cibo e l’acqua di scorta degli inglesi, finirono.

Quando arrivò l’ordine finale di ritirarsi, era già troppo tardi. Solo 39 uomini riuscirono a farsi strada attraverso le linee nemiche. I restanti 59 furono uccisi e oltre 500 soldati furono catturati e trascorsero anni brutali in campi di prigionia.
Il loro atto di eroismo gli valse la US Presidential Citation, un onore estremamente raro per un’unità non americana.
La tragedia dei Glosters rimane uno degli esempi più potenti e strazianti di come le differenze culturali nella comunicazione possano costare la vita a un intero battaglione, non solo, ma con l’invio di rinforzi avrebbero potuto arginare meglio l’offensiva cinese.

