Federico Dal Cortivo per l’Adige di Verona ha intervistato la dott.ssa Enrica Perucchietti, scrittrice, redattore editoriale e giornalista autrice del libro La censura nelle “democrazie” del XXI °secolo-Criminalizzazione del dissenso e inquisizione digitale, edito da Arianna Editrice.

Dott.ssa Perucchietti già in passato lei si è occupata con i suoi scritti di disinformazione, ricordiamo – “La fabbrica della manipolazione – False flag- Fake news come il potere controlla i media”… – tanto per citarne alcuni. Orwell nel suo famoso libro 1984 ci parla di un mondo distopico. Crede che oggi quanto narrato in 1984 sia in divenire senza più paraventi? E chi sono gli attori principali?

«Sì: non tanto nella forma “teatrale” del totalitarismo novecentesco, quanto nella trasposizione digitale del controllo e della sorveglianza tecnologica. 1984 ‘resta profetico soprattutto su quattro punti: la neolingua (restringere le parole per restringere il pensiero), lo psicoreato (criminalizzare non solo ciò che fai, ma ciò che pensi od osi dubitare), il bipensiero e i ministeri, in particolare il Miniver che si occupa di riscrivere ed epurare le fonti “scomode” in modo da omologare e livellare informazione e letteratura, e il Minamor (con la sua psicopolizia).

Gli attori principali oggi non sono solo gli Stati:. E’ una filiera che si occupa di sottomettere le menti e ottenere il monopolio sulla verità. Da un lato abbiamo i media mainstream che spesso si muovono come cinghia di trasmissione.

Dall’altro le Big Tech e apparati di moderazione/algoritmi che possono spegnere un profilo, de-indicizzare un contenuto o apporre un “bollino di verità”. In mezzo, il nuovo clero secolare: task force, “esperti” e fact-checkers che rappresentano i moderni inquisitori digitali, travestiti da strumenti di orientamento. Il risultato è un controllo più efficace, onnipresente e onnipervasivo, perché mimetico: non sempre ti arrestano, spesso ti isolano, ti demonetizzano, ti marginalizzano. E tu impari, per sopravvivere socialmente e professionalmente, ad autocensurarti: è la cosiddetta “spirale del silenzio” in versione social».

Foto Enrica Perucchietti
Enrica Perucchietti

Dal politicamente corretto alla censura

Dal politicamente corretto, passando attraverso al wokismo fino ad arrivare alla cancel culture, ci vuole spiegare come tutti questi fenomeni stanno incidendo nella società occidentale? 

«Incidono come tecnologie culturali di disciplina e di indottrinamento: prima si impone un linguaggio “giusto” (buonismo e politicamente corretto), poi lo si carica di moralismo identitario (woke), infine, si passa alla sanzione (cancel culture, censura, criminalizzazione e patologizzazione del dissenso). È una dinamica che produce conformismo, paura dell’errore e, soprattutto, riduzione del dibattito: non si confuta, si etichetta, in modo da creare pregiudizio e proiettare il biasimo collettivo sul capro espiatorio di turno.

La cancel culture, infatti, non è “inclusività”: è ostracismo moderno, un meccanismo di espulsione dal lavoro, dalle cerchie sociali, dalle piattaforme, spesso con modalità da gogna mediatica e sociale. E il punto chiave è che la “purezza” richiesta è irraggiungibile: l’inquisitore ha sempre bisogno di un nuovo colpevole e nessuno sarà mai abbastanza puro da scampare alla furia censoria.

E quando questa logica da neopuritanesimo viene sposata anche da grandi marchi e industrie culturali, si passa dal fallimentare capitalismo woke alla colonizzazione dell’immaginario: riscrittura del passato, riedizioni edulcorate, prodotti narrativi “a tesi”. Paradossalmente, proprio gli eccessi possono generare rigetto, ma nel frattempo il danno sul piano della libertà di espressione è stato normalizzato».

la censura nelle democrazie del xxi secolo

In quali Stati dell’Occidente si registra una più netta stretta sull’informazione seguita da repressione/criminalizzazione?

«È una tendenza trasversale nel cosiddetto “Occidente collettivo”, con intensità diverse. In Europa, la cornice più rilevante è l’insieme di regole che spinge le piattaforme verso moderazione, gestione del rischio e procedure di rimozione, come il Digital Services Act (DSA). In Germania, la logica della rimozione rapida dei contenuti contestati è stata anticipata dal NetzDG, che prevede obblighi stringenti e multe elevate per le piattaforme in caso di inadempienza sistemica.

Nel Regno Unito, l’Online Safety Act introduce doveri di “safety” per servizi online e motori di ricerca, con un impianto che molti osservano con attenzione perché può creare incentivi alla rimozione preventiva. Ricordiamo, inoltre, l’arresto di Pavel Durov, fondatore e Ceo di Telegram, nella “democratica” Parigi, un chiaro segnale di intimidazione e al contempo un monito per gli imprenditori digitali divergenti. La dinamica di fondo, comunque, resta la stessa: “proteggere” da odio e disinformazione è spesso l’argomento perfetto per filtrare il dissenso e spingere a un’informazione certificata, dove il pluralismo si restringe sempre di più».

L’Italia, dove il calo delle vendite dei cosiddetti grandi giornali e sotto gli occhi di tutti, come si colloca in quanto a libertà d’informazione?

L’Italia vive un paradosso: mentre i grandi giornali perdono centralità, il sistema reagisce tentando di ricondurre l’agorà digitale dentro recinti normativi e morali. Non si tratta solo di mercato; è una crisi di fiducia legata anche a un giornalismo percepito come filiera del consenso, tra click, titoli emozionali e propaganda di emergenza (lo si è visto bene nelle fasi del “terrorismo mediatico” pandemico). Nel frattempo, esempi di esclusione o penalizzazione per opinioni “fuori linea” mostrano come la pressione non sia solo online: è anche accademica, culturale, professionale. 

E quando si accetta l’idea che in democrazia “non tutti abbiano lo stesso diritto a esprimersi”, la libertà diventa un optional: un lusso revocabile. Questo è il terreno ideale per lo slittamento verso uno psicoreato, un reato d’opinione in versione moderna».

Censura digitale

Siamo destinati a vivere in futuro in un recinto digitale oppure crede che prima o poi ci sarà una sollevazione a questo ordine di cose?

«Il recinto digitale è già in costruzione: profilazione, sorveglianza, algoritmi, punizioni/ricompense, fino alla prospettiva di un modello “credito sociale” in salsa occidentale. È il passaggio dal panottico al post-panottico, dove il controllo non è solo verticale ma “ambientale”: ti circonda e ti educa a comportarti bene. Non credo a una “sollevazione” di pancia. Se ci sarà una risposta efficace, sarà una resistenza matura: culturale, giuridica, tecnologica e soprattutto comunitaria. Significa ricostruire spazi di confronto, pretendere trasparenza sulle regole, ridurre la dipendenza dalle piattaforme egemoni e smettere di regalare al potere il pretesto perfetto (volgarità, odio, polarizzazione, tifo divisivo) per chiedere nuove strette. 

E, alla fine, la frase più sovversiva resta quella in calce a Fahrenheit 451 di Ray Bradbury: “Noi ricordiamo”. Perché chi controlla la memoria controlla anche l’orizzonte del possibile».