( Alberto Lorusso*) A Verona, sembra essersi ormai radicata un’idea tanto diffusa quanto malsana: che la vita pubblica debba essere vissuta come un eterno derby. Due squadre, due colori, due curve, due tifoserie. E guai a uscire da questo schema. Non si discutono più i fatti. Si tifa.
Lo si vede chiaramente ogni volta che si prova a muovere una critica o anche solo a fare un’osservazione. Basta mostrare una fotografia o un video che documentano qualcosa che non va -una buca sull’asfalto, una strada dissestata o senza segnaletica orizzontale, rifiuti sparsi, un servizio che non funziona- e scatta immediatamente il riflesso condizionato: non l’analisi del problema, ma la difesa della parte politica “amica”.
Un derby politico
La buca, in sé, non importa. Se si è scelto di sostenere la parte che governa, bisogna respingere la critica. La risposta non è mai “sistemiamola”, ma “gli altri erano peggio”. E, di filata, arriva pure l’invito rituale: “esci allo scoperto, dichiarati per l’altra squadra, confessa per chi tifi davvero”. Il gioco è sfacciato: o di qua o di là. Nessuna alternativa è ammessa.
Finché, questo atteggiamento, lo tengono i politici di professione — per quanto sia triste e francamente disgustoso — non sorprende. Giocoforza, ne hanno fatto un mestiere, perché vivono di questo.
Che ci caschino i cittadini, invece, è un fatto molto più grave. Perché significa che la trappola è stata congegnata così bene che chi ci è finito dentro nemmeno se ne accorge.

Ci hanno convinti che sia normale così. Ma non lo è. La metafora è abusata, logora, eppure resta perfetta: quando si indica la luna, c’è sempre chi si concentra sul dito. E intanto la luna resta lì, ignorata. Esattamente come i problemi di Verona. È tempo di cambiare prospettiva. È tempo di uscire da questo sistema malato.
Dobbiamo riappropriarci del senso originario della politica e dei Partiti: non il tifo, non l’appartenenza cieca, ma la cura del bene pubblico. La città non è una bandiera da sventolare: è una casa da amministrare. Con la tifoseria si giustifica tutto, ma non si risolve nulla. Vogliamo la parte che ci piace al governo, o vogliamo dei risultati? Il potere non è un fine in sé: è lo strumento per ottenerli.
Io voglio vivere in una Verona ordinata, accurata, ben tenuta. Voglio servizi che funzionano, strade sicure, traffico gestibile, segnaletica chiara e rinnovata, mezzi pubblici efficienti, parchi fruibili, aria respirabile, un’offerta culturale degna di una delle città più belle del mondo, conosciuta e apprezzata a livello planetario.
E non mi interessa chi realizzi tutto questo. Non mi interessa che il Sindaco sia di destra o di sinistra, uomo o donna, alto o basso. Mi interessa il risultato. Perché una città non è uno stadio: non c’è un pubblico da intrattenere, ci sono servizi da amministrare, opere da realizzare.
E i cittadini, per primi, non devono essere tifosi, ma azionisti del bene comune: clienti paganti che pretendono risposte, creditori che esigono risultati. Siamo stati ingannati. Ci hanno convinti che il controllo del potere fosse il fine, mentre è soltanto il mezzo.
Non ottieni nulla se il “tuo” amico viene eletto. Ottieni qualcosa solo se quell’amico risolve i problemi della città. E guadagni anche quando chi li risolve tuo amico non è: l’obiettivo del confronto politico non è abbattere una parte, ma realizzare un risultato.
Quando usciremo da questo inganno, Verona potrà davvero ripartire. Un sogno sembra reale finché non ci si sveglia. Poi svanisce. E allora è tempo di destarsi. Sveglia, Verona! È ora di fare i conti con la realtà. Insieme, possiamo farcela.
*Presidente di Verona Riparte
