(di Gianni Schicchi) Penultima recita di La Traviata di Verdi in Arena con alcune varianti nel cast, dove va innanzitutto segnalato l’esordio sul podio del maestro Francesco Ommassini, che così compie il suo battesimo dopo aver più volte diretto al Filarmonico. Ommassini dopo aver ricoperto per anni la prima parte dei secondi violini nell’organico areniano si è dedicato alla direzione orchestrale con alcuni successi nei maggiori teatri italiani. Attualmente ricopre anche un incarico nella direzione artistica della Fondazione.
La recita era l’ultima occasione per sentire Rosa Feola nel ruolo della protagonista, Dmitry Korchak in quello di Alfredo, Amartuvshin Enkbat come Giorgio Germont, mentre due esordi nelle parti di fianco risultavano quelli di Matteo Macchioni come Gastone Letorières e Francesco Cuccia come Giuseppe.
La Traviata si presentava nell’allestimento di un decennio fa, preparato da Hugo de Ana, sicuramente meno riuscito rispetto a quelli delle sue Tosca e Barbiere di Siviglia che continuano ad essere presenti nel cartellone areniano nonostante gli anni. Certo La Traviata è fra le opere meno “areniane” del repertorio estivo veronese, priva di grandi scene di massa, bensì di solitari raccoglimenti e di drammatici confronti, sebbene gli allestimenti di carattere più ingombrante e sovraccarico alla Franco Zeffirelli, abbiano goduto di una certa notorietà.

La Traviata di Hugo de Ana cerca di far convivere intimità e spettacolarità. Anche a nove anni di distanza dalla sua ultima ripresa, questo allestimento si rivela riuscito solo in parte, appagante dal punto di vista estetico con qualche colpo ricco di genialità, ma che poco efficace invece nel ricostruire in maniera credibile le dinamiche tra i personaggi.
Sul versante musicale, Rosa Feola è tornata ad evidenziare uno strumento imponente, controllato soprattutto in acuto. La tecnica è soddisfacente nel dosare il peso della voce quanto richiesto dalla parte. Riesce a trasformare tutti i pianissimi senza sporcare le puntature emesse nel “Sempre libera”, che escono pulite e non gridate, come spesso si usa sentire. L’impressione che però la sua Violetta (debuttata da un quinquennio) sia ancora un personaggio da approfondire per far risaltare in pieno il suo splendido timbro vocale pur se teatralmente tutto funziona.
Al suo fianco, Dmitry Korchak non può vantare una voce altrettanto proiettata e adatta agli spazi dell’anfiteatro, ma come Alfredo trova la sua ragion d’essere nella credibile evoluzione psicologica del personaggio: dalla timidezza del primo atto passa con disinvoltura alla spensieratezza del casino di campagna, al rancore del festino di Flora e infine alla disperazione al capezzale dell’amata sul letto di morte. La linea di canto è pulita, giusto un po’ cauta nella salita all’acuto, ma lo strumento si riscalda di atto in atto e conclude la recita in maniera più che soddisfacente.
Già impegnato nei panni del protagonista del Nabucco inaugurale e di Amonasro in Aida, Amartuvshin Enkhbat è al suo terzo ruolo verdiano in quaranta giorni di festival. Se questa fitta agenda non ha intaccato la sua interpretazione del ruolo di papà Germont, non si può non esprimere qualche perplessità di fronte alla continua scrittura degli stessi interpreti nei medesimi ruoli. Un fatto che inficia la proposta dei cartelloni areniani, che di anno in anno offre sempre meno novità in fatto di repertorio. Ciò che maggiormente risulta evidente nella prestazione dell’ottimo interprete mongolo, è la sua genericità interpretativa. Fortunatamente, grazie al prezioso dialogo con la direzione di Ommassini, il baritono è riuscito a descrivere un Germont tanto ruvido nel rapporto con la seduttrice del figlio, quanto sensibile nel ricordo dei tormenti della famiglia.
La lettura del maestro Francesco Ommassini è dedicata soprattutto al servizio delle voci, accompagnate con mano sicura e con l’adeguata attenzione alla parola scenica: esemplari in tal senso sono da considerare il drammatico duetto tra Violetta e Germont padre e l’ultimo atto. Gesto ampio, leggibile nonostante le distanze, puntuale, quello del direttore veneziano. Un felice esordio che gli apre la possibilità di nuovi successi.
Gli hanno risposto con ottima resa l’Orchestra e il Coro lasciatisi andare spesso a sfumature trascinanti, raramente udibili all’aperto in un titolo come La Traviata. Ben allineato il fronte dei comprimari, tutti calati perfettamente nei rispettivi ruoli: da Sofia Koberidze in Flora, a Francesca Maionchi come Annina, Matteo Macchioni (Gastone), Nicolò Ceriani (Barone), Jan Antem (Marchese), Hidenori Inoue (Commissionario e domestico di Flora), Francesco Cuccia (Giuseppe). Un merito particolare va al Dottor Grenvil di Gabriele Sagona, bass/baritono maturo per interpretare ruoli più impegnativi all’interno dell’Arena.
Pubblico, come sempre molto partecipe e prodigo di applausi. Successo a fine spettacolo per i tre protagonisti e il direttore. Tempo di durata dell’opera: tre ore. Poco dopo la mezzanotte il pubblico è potuto uscire dall’anfiteatro, il che depone a favore della perfetta organizzazione raggiunta dalla Fondazione Arena.
